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Nuovi racconti inediti

La guerra del pane.

La guerra del pane. - P a o l o    B a r s a n t i

  

Questo racconto  si è clessificato al primo posto al Premio letterario 2021 del Centro culturale Antonianum di Milano, inoltre è finalista alla 15° Edizione del Premio Il giovane Holden di Viareggio.

 

 

 La guerra del pane.

 

 

Avevo da poco compiuto sette anni ed eravamo in guerra da troppo tempo.

 Erano giorni strani quelli dell’autunno del 1943.

 Per quelli come me, che avevano tre anni all’inizio del conflitto, la guerra era la normalità, inconsapevoli di quella che era la vita in pace e incoscienti come tutti bambini.

 Anche noi giocavamo con i soldatini e riuscivamo a dormire tranquilli anche nei rifugi.

 Eravamo fortunati perché nella grande villa, nella campagna toscana, dove vivevamo con mio padre esonerato dal servizio per motivi di salute, mia madre, le zie e mia nonna il mangiare era poco ma non mancava mai. Con l’arrivo alla villa dei miei cugini avevo acquistato improvvisamente nuovi compagni di gioco e potevo togliermi dalle scatole quella prepotente di mia sorella più piccola che aveva trovato due cuginette da tormentare.

 La grande villa, circondata da un parco di circa un ettaro, arrivava alla strada comunale dopo un breve viale alberato chiuso da un pesante cancello di ferro battuto.  La via, che portava al paese Pievechiusa, divideva la nostra casa dalla piccola corte fatta da alcune costruzioni abitate da due famiglie di contadini a servizio di mia nonna. Il paese era molto piccolo, una Chiesa, una decina di case, la scuola era nella frazione vicina che distava circa un chilometro e mezzo.

 Il mio primo anno delle elementari era passato abbastanza nella normalità, a parte qualche bombardamento che noi percepivamo solo perché vedevamo passare gli aerei alti nel cielo e sentivamo il suono delle sirene lontane.

 Il secondo anno delle elementari iniziò nel solito modo ma, anche se eravamo piccoli, avevamo ben compreso che qualcosa era cambiato.

 Il nostro gioco preferito era guardare i pochi mezzi a motore che passavano nella strada che portava verso la città. Memorizzavamo di ogni auto, moto, camion o trattore, la marca il modello e ogni particolare.

 Non erano passati molti militari dal nostro paese, le uniche divise che avevamo visto erano quelle della milizia fascista indossate da alcune persone che frequentavano la nostra famiglia.

 Nella nostra corte, un pomeriggio di Novembre del 1943 arrivarono una Volkswagen Kübelwagen e due grossi camion Opel-Blitz della Wehrmacht, carichi di soldati.

 Erano i primi veri militari che noi ragazzini vedevamo, parlavano, o meglio urlavano una strana lingua che noi non conoscevamo.

 Si stabilì così, occupando una parte della nostra casa, un tribunale militare tedesco e per un certo verso, questa fu una fortuna. Gli ufficiali, che da civili erano giudici o avvocati, erano uomini di cultura e generalmente non fanatici nazisti. Noi ragazzini non sapevamo bene chi erano i buoni e i cattivi, però quei militari non ci trattavano male anzi erano sempre gentili, inoltre il grande cartello  appeso fuori dal cancello in fondo al viale, che recitava in lingua tedesca e in italiano:“Militärgericht -Tribunale Militare” si dimostrò un ottimo deterrente per le scorrerie delle SS che passavano nelle varie corti a rastrellare ospiti graditi per i campi di lavoro.

 Alla mia precisa domanda su cosa era il tribunale militare babbo rispose che esisteva una legge per i civili e una per i soldati e spesso le due cose non erano proprio uguali, quindi era giusto ci fosse un tribunale speciale per i militari.

Spiavamo tutto quello che facevano i grandi riproducendolo visto con gli occhi dei bambini.Anche se eravamo piccoli, ci rendevamo conto che, quei poveretti che erano portati davanti ai giudici, con le divise sporche, a volte feriti avevano tutti la stessa faccia spaventata e con un’espressione strana negli occhi di disperata rassegnazione.

 Ci salvava l’innocenza, l’incoscienza e il nostro impegno di trasformare in gioco tutto quello che vivevamo.  

 I tedeschi avevano uno strano pane di colore marrone verdastro, compatto, la forma sembrava quella di un mattone, sopra era impressa la data di produzione, che risaliva sempre a molte settimane prima, i soldati lo mangiavano secco. A volte qualcuno era così generoso da darcene un pezzetto, era duro, sapeva e odorava di soldato. Mi ricordo benissimo l’odore dei soldati era particolare, forse un misto di sudore, grasso delle armi e paura.

Presto si formò per gioco il nostro tribunale, uno di noi che faceva il giudice, un altro l’accusatore e di solito a me toccava la parte del difensore ma per il quieto vivere spesso ci alternavamo nei ruoli. Unico che voleva fare sempre lo stesso personaggio era mio cugino Gino, il più silenzioso ma ottimo osservatore, lui interpretava l’accusato. Ricordo ancora la sua bravura nel mimare la paura e la rassegnazione che vedevamo ogni giorno nei volti di quei poveretti.

 Un pomeriggio il solito camion militare, che portava i colpevoli di diserzione o chissà quale altro reato, scaricò uno strano soldato. Era molto alto, magrissimo, con l’aspetto fiero, indossava una divisa stinta e logora che doveva aver visto tanta paura e tanta morte. Nonostante questo sorrideva, il suo non era un ghigno nervoso o strafottente, era un vero e sincero sorriso. I suoi grandi occhi celesti si guardavano intorno con curiosità ma non sembrava del tutto cosciente di quello che lo attendeva. Fu giudicato in nemmeno un’ora, uscì dalla sala, dove era impiantato il tribunale, in catene. Mentre lo spingevano a forza sul camion, che certamente lo avrebbe portato a un triste destino, si voltò e sorrise ancora, quel sorriso bellissimo è rimasto nei nostri cuori innocenti per molto tempo. Decidemmo che per noi, lo spilungone gentile, era un ufficiale che si era macchiato di una colpa che non aveva commesso, ma non rivendicava la sua innocenza per non accusare i suoi commilitoni. Gino decise di chiamarlo Hansel come il personaggio della fiaba e lo rappresentò benissimo, fu quella la sua migliore interpretazione. Nella stalla, che era la sede del nostro tribunale, Gino Hans era in piedi su una vecchia cassa di legno per mimare la sua alta statura, indossava come mantello un vecchio pezzo di lenzuolo azzurro pieno di macchie e di buchi ma che gli conferiva fierezza e coraggio.

 Io ero il difensore e quando il cugino Gianni formulò la terribile accusa: “ Vigliaccheria davanti al nemico” pensai che avrei dovuto difendere con ogni mezzo quel poveretto. Non avevo ovviamente nessuna idea di cosa dire ma mi sentivo molto coinvolto e pronunciai la mia arringa tutto di un fiato:   

-     Signor giudice come potete pensare che Hansel sia un vigliacco? Lui è un buon soldato! Deve essere un bravo papà si vede dal suo sorriso. Guardate com’è magro, combattere con la fame rende deboli e voi con il vostro pane nero, del colore della popò di mucca, cattivo di sapore, secco e duro come il legno, affamate le vostre truppe. Se voi condannate quest’uomo fate un gravissimo sbaglio. I vostri nemici vinceranno la guerra, perché hanno ogni giorno pane fresco, bianco e morbido. Dovete trattare bene i vostri soldati, date loro delle divise pulite, sapone, buon cibo e loro combatteranno meglio.

 Per alcuni attimi tutti restarono senza parole, i cugini più grandi non si aspettavano da un bambinetto come me una tal enfasi.Hansel dal nostro tribunale, purtroppo solo dal nostro, fu assolto, Gino riuscì per un momento a replicare perfettamente il sorriso che tanto ci aveva conquistato.

 I mesi passavano e noi sentivamo raccontare da mamma e dalle zie che il fronte, costituito dalle forze di liberazione alleate, stava avanzando verso nord e presto sarebbe arrivato, questo era confermato dal rumore dei bombardamenti che ogni giorno sentivamo più vicini.

 I bombardieri passavano nel cielo, da sud verso nord, poi si vedevano i caccia tedeschi che volavano alti tra le nuvole. 

 Una sera, chiesi a mio padre se era giusto che a liberarci dai tedeschi dovevano essere gli inglesi e i loro alleati. Semmai avrebbero dovuto liberarci gli italiani, come sapevamo che poi i liberatori non sarebbero stati meno gentili degli attuali occupanti? Babbo mi guardò con meraviglia, chiedendomi di parlare a bassa voce, mi rispose che non era ben chiaro nemmeno per lui.

 La cosa da spiegare era complicata: quelli che prima erano i nostri alleati adesso erano nemici e quelli che prima erano nemici adesso erano diventati i nostri alleati. Non compresi bene allora quella spiegazione ma decisi che da grande non mi sarei alleato con nessuno.

 I militari del tribunale tedesco nei mesi trascorsi in villa, anche se occupanti, avevano instaurato una specie di rapporto di buona convivenza, qualcosa che si avvicinava quasi all’amicizia. Il più gentile e disponibile era il capitano Marc che da civile faceva l’avvocato, appassionato del gioco delle carte aveva coinvolto mio padre in lunghe partite serali.

I soldati portati davanti al tribunale aumentavano ogni giorno, crescevano le diserzioni, le risse e gli atti di violenza sulla popolazione inerme.

 Così, una mattina d’estate, il tribunale che richiedeva più spazio e altri addetti, fu trasferito in centro città.

Noi perdemmo l’ispirazione per il nostro gioco ma soprattutto la protezione che ci dava il cartello appeso sul cancello di ferro battuto: “Militärgericht”.

 Sembrò così, per alcune settimane, tornare una certa tranquillità nella villa, nonostante fossero iniziati i cannoneggiamenti incrociati. Da nord sparavano i tedeschi e da sud rispondevano gli alleati, i proiettili passavano alti sopra il nostro paese ma qualcuno era corto e colpiva dalle nostre parti. Noi bambini, appena smessi gli scoppi, uscivamo dalle cantine a cercare le schegge delle granate arrivate corte, non per avere quei macabri trofei ma per puro spirito di avventura.

 Verso la metà di settembre del 44 arrivarono due sottoufficiali tedeschi a bordo di una BMW R75 sidecar. Erano le retrovie di un esercito in ritirata, cercavano cibo e qualcosa da requisire, purtroppo zia Marta stava suonando la fisarmonica e decisero di requisirla rilasciando regolare ricevuta che ovviamente non aveva nessun valore. Portarono via anche parecchie bottiglie di vino che avevamo nascosto in una stalla. I due militari fecero poca strada, dopo nemmeno un chilometro, causa il buio o il vino, la loro moto sbandò finendo in un fosso prima di arrivare al paese vicino. Incolumi non vollero proseguire al buio e continuarono a bere vino; dopo, ubriachi, si misero a cantare e suonare la fisarmonica nel fosso.  Proprio in quel momento stavano avanzando le avanguardie alleate, si trattava di soldati americani di colore. I liberatori ignoravano quale e quanta resistenza dovevano aspettarsi da parte del nemico. La pattuglia americana sentendo la musica e le canzoni pensarono a un gruppo numeroso di tedeschi asserragliati lungo il fosso a modo di trincea difensiva. I liberatori rimasero bloccati una notte e un giorno prima di scoprire l’inganno e proseguire verso nord.

 Così fummo liberati, anche se noi bambini non ci sentivamo prigionieri e nella nostra innocenza pensammo che la guerra fosse finita.

 Mia nonna radunò tutti nel salottino a piano terra, volle spiegarci che l’arrivo degli alleati era una cosa buona, ma i nemici erano molti, le sorti del conflitto erano ancora incerte e ci sarebbero voluti mesi o forse anni per la fine della guerra.

Ricordo ancora il momento dell’arrivo degli americani alla villa, lo stupore fu enorme, erano tutti neri dal soldato semplice al tenente che li comandava.  

Osservavamo questi militari, molto diversi dai tedeschi che sembravano ben organizzati nel loro disordine.

Possedevano delle strane auto che chiamavano Jeep, ma sembravano delle grosse scatole con quattro ruote, i loro camion invece erano più grandi e più belli di quelli tedeschi, avevano strani nomi come Dodge o Jimmy.

 Gli ordini erano impartiti con voce normale, quasi si trattasse di consigli o indicazioni, nessuno urlava, tutti fumavano e masticavano delle strane caramelle dolci fatte di gomma e non si dovevano ingoiare mai. A me piacevano perché ti facevano passare la fame, anche se il gusto non era sempre buono.

I soldati neri erano molto gentili, regalavano sigarette e tavolette di cioccolato a manciate. Le loro divise erano informali, sgualcite, sporche ma di buona fattura e non logore.

Gli scarponi erano polverosi, male allacciati ma con le suole quasi nuove.

 Il comandante chiese a mia nonna, poiché padrona di casa, dove potevano montare le loro tende, tutti si stupirono perché mai nessun tedesco aveva chiesto il permesso per fare o dire qualcosa. Occuparono un grosso campo incolto a destra della villa e la prima tenda montata fu quella con la croce rossa e per seconda la cucina.

 Un medico militare si rese disponibile per eventuali visite anche per noi civili.

In quei giorni soffrivo di un fastidioso mal di denti causato da un premolare da latte cariato, mia madre prese al volo l’invito e la mattina dopo mi trascinò, contro la mia volontà, alla tenda dell’infermeria. Ovviamente ci seguirono tutti i bambini per curiosità e per canzonarmi per la mia paura.

  Il dentista era nero, grande e grosso che solo a vederlo metteva paura, mi cavò il dente ma non rammento un particolare dolore.

Dopo il piccolo intervento guardammo dentro la tenda della cucina, i cuochi sfornavano grosse pagnotte che per forma ricordavano il pane tedesco, ma erano morbide, del colore del latte, fresche di giornata e soprattutto sapevano di buono.

 Con i miei cugini ci guardammo negli occhi, noi avevamo già capito chi avrebbe vinto la guerra.

  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il testimone

Il testimone - P a o l o    B a r s a n t i

 

  Questo racconto ha vinto il Primo premio al  Concorso Letterario Internazionale "Marchesato di Ceva" edizione 2021.

 

Il testimone.

 

Un’aggressione, in un vicolo del piccolo centro storico, sveglia un tranquillo paese alle due della notte.

 Sembra la scena di un film: auto con i lampeggianti blu, infermieri, volontari del soccorso che si muovono veloci, lampi di flash e i carabinieri.

 Il maresciallo Antonio Camoto che, come comandante della vicina stazione, è stato svegliato nel cuore della notte, mostra sul volto la stanchezza di una precedente lunga giornata di lavoro.

 Al milite non sono bastate due ore scarse di sonno, peraltro agitato dalla cena del giovedì. In casa Camoto è tradizione che il giovedì sera si mangi il bollito misto, non è però usuale che il bollito lo prepari la suocera del maresciallo da poco arrivata in visita alla figlia e i nipoti. Assuntina, un metro e ottanta per centoventi chili, cucina benissimo ma condisce in modo esagerato le pietanze e prepara cibo come se ogni volta si trattasse di sfamare tutta la caserma. Insomma la quantità notevole di bollito, accompagnato dalle salsine d’obbligo, galleggia ancora nello stomaco del maresciallo che spera tutto finisca al più presto. 

 Chiuso nella sua auto quello che sembra essere l’unico testimone del fatto.

 Il comandante, soffocando un rutto gasato di aglio e prezzemolo, invita il testimone a scendere dall’auto e domanda:

 -          Lei è il signor?

 -          Gianni Timorino.

 -          Bene signor Timorino favorisca intanto patente e libretto al mio collega e mi racconti cosa ha visto.

 Il brigadiere Consolino Carmelo prende i documenti e inizia a leggerli con scarso interesse mentre si dirige verso l’autoambulanza.

 -          Ho visto delle ombre in fondo al vicolo e quando ha capito che si trattava di un’aggressione, ho accelerato e suonato il clacson all’impazzata per mettere in fuga gli aggressori.

 -          Ha pensato che questi potevano non spaventarsi e aggredire anche lei?

 -          No. Mi sembrava giusto aiutare in qualche modo il poveretto.

 -          Poveretto? Sapeva che la vittima era un uomo.

-          No. Potevo solo immaginarlo ma fosse stata una donna mi sarei comportato nello stesso modo.

 -          Signor Timorino è sposato, convive? Ha figli?

-          No. Sono solo ma questo che cosa vuol dire?

-          Nulla, cerco solo di capire perché ha compiuto un gesto coraggioso ma incosciente.

-          Ho sbagliato?

 -          Forse no, il poverino è conciato male ma è ancora vivo.

 -          Allora perché “forse”? Si sente un eroe?

 -         Piuttosto uno stupido incosciente.

 -          Ha toccato la vittima?

 -          Non sono nemmeno sceso dalla mia auto, ho subito telefonato al soccorso.

 -          Perché?

-          Perché ho telefonato al soccorso?

-          No, perché non è sceso dalla sua auto?

-          Paura, il sangue mi ha sempre fatto impressione.

Il maresciallo trattenendo l’ennesimo rutto decide che la conversazione deve proseguire in caserma, prega il testimone di seguirlo, penserà il brigadiere all’auto di Timorino.

 Arrivati alla stazione, entrano in una stanza male illuminata, con una scrivania degli anni cinquanta, due sedie traballanti, le pareti spoglie e di un colore bianco vecchio.

 Il milite spolvera con le mani una sedia e la offre a Gianni che, cautamente, si siede di fronte alla scrivania.

 -          Allora signor Timorino mi diceva che non è sceso dall’auto fino al nostro arrivo.

-          Esatto.

 -          Non è sceso perché la vista del sangue, come a molti, la impressiona.

-          Sì. Mi sentivo più protetto chiuso nella mia auto.

-          Così… una persona, tanto coraggiosa da mettere in fuga una banda di teppisti, non trova il coraggio di andare vedere da vicino le condizioni della vittima.

 -          Il mio è stato un gesto d’impeto, quasi una reazione automatica per interrompere l’aggressione.

 -          Per un momento ha pensato, dopo aver chiamato gli aiuti, di andarsene?

 -          No. Sì, per un momento ho pensato che avevo fatto abbastanza e potevo andare via evitando tutto questo.

-          Tutto questo?

-          Questo interrogatorio, le sue domande, i suoi perché, sono quasi quattro ore che aspetto di tornare a casa.

 -          Non è un interrogatorio, raccolgo solo la sua testimonianza, cerco di capire cosa è successo, come si sono svolti i fatti.

 -          Mettendo in dubbio le mie parole, lei mi confonde.

-          Non dica così, abbia un poco di pazienza. Quanti erano gli aggressori?

-          Tre o forse quattro.

 -          Sia più preciso, se può.

 -          Da lontano sembravano quattro ma avvicinandomi erano solo tre.

 -          Alti, bassi, grassi, magri?

-          Robusti e alti.

 -          Nonostante fossero quattro, alti e robusti, lei ha deciso ugualmente di avventarsi su di loro.

-          Non mi sono avventato, ho accelerato suonando all’impazzata il clacson.

 -          Voleva investirli con la sua auto?

-          No! No, non sapevo nemmeno io … speravo scappassero.

 -          Così sono scappati. Da che parte sono andati a destra verso la piazza o a sinistra verso la Chiesa o sono tornati indietro, all’inizio del vicolo, verso la Banca?

 -          Non lo so, non ricordo… mi sembra uno a destra e due a sinistra ma non ricordo bene.

 -          Lei conosce Sante Mazzari?

 -          Sì, è il postino del paese.

 -          Ha un rapporto confidenziale con il Mazzari?

 -          No. Lo vedo qualche volta quando gira con la sua bicicletta per consegnare la posta e poi a volte il sabato sera al bar in piazza.

 -          Solo buongiorno e buona sera?

 -          No. In tanti anni abbiamo parlato qualche volta, non rammento, magari di calcio o altre cose così.

 -          Magari di donne?

 -          Forse, al bar quelli sono gli argomenti.

-          La moglie di Sante Mazzari, tale Gatti Filomena, la conosce?

-          No… questa domanda cosa c’entra con l’aggressione?

 -          Be, direi che Mazzari è molto coinvolto, è la vittima.

 -          Mazzari?

 -          Sì, se fosse sceso dall’auto, per sincerarsi della gravità della cosa, lo avrebbe sicuramente riconosciuto.

 Il maresciallo si accende una sigaretta e ne offre una a Gianni che, ringrazia, ma rifiuta.

 -          Mi ascolti le offro, prima che io verbalizzi le sue parole di cambiare in toto o in parte la sua deposizione. Questo naturalmente non avrà conseguenze, diciamo che avevo capito male io.

 -          Cambiare? Perché cambiare la verità.

-          Sicuro di non conoscere la signora Filomena Gatti?

-          Forse, sì… così di vista come ci conosciamo un poco tutti in paese.

 -         Di vista, è un gran bel vedere, è una donna molto piacente e forse un poco chiacchierata.

 -          Vero, una bella donna.

 -          Allora modifichiamo la sua dichiarazione?

 -          Sì. Conosco la signora Gatti.

 Il campanile della vicina chiesa suona sei rintocchi.

 

Entra nella stanza l’appuntato Vincenzino Malafè, battendo i tacchi grida: “Comandi”.

 

-          Vince portami del pane, il forno dovrebbe essere già aperto e insieme porta due caffè, mi raccomando falli buoni!

 -          Agli ordini!

-          Ha appetito signor Gianni? Posso chiamarla così?

-          Certo, mi chiami solo Gianni d’altronde, anche se solo di vista, ci conosciamo da molti anni.

-          Vero! Sono quindici anni che comando questa stazione, forse anche troppi.

-          Conoscerà tutto di tutti noi.

-          Forse, anzi a volte me lo credo, poi come stanotte scopro che, in un paese così piccolo, c’è posto anche per una banda di teppisti.

-          Magari venivano da fuori.

-          Una spedizione per menare un semplice postino? Almeno lo avessero ucciso ma il dottore prima mi ha detto che se la caverà il Mazzari.

 -          Mi sembrava più morto che vivo, una maschera di sangue.

 -          Allora ha visto la vittima!

 -          No, solo quando la seguivo per salire sulla sua auto ho visto la vittima stesa sulla barella che entrava in autoambulanza. Una maschera di sangue, infatti, non lo avevo riconosciuto.

 -          No, ma non è cosa grave, la testa sanguina subito e molto.

-          Avrà altre ferite, contusioni?

 -          Può essere, per adesso il dottore ha riscontrato solo un colpo alla testa, probabilmente inferto con un oggetto tipo un martello, una spranga o un tubo.

 

 Il milite spegne la sigaretta e apre la piccola finestra alle sue spalle.

 Senza guardare in volto il testimone quasi sussurra.

 

-          Se ricordo bene lei, di professione, è un agente delle assicurazioni.

 -          Si lavoro a provvigione per una nota compagnia, anzi potrei proporre qualcosa di veramente conveniente…

 -          Grazie ma ne parleremo in altra occasione. Lei per lavoro frequenta uffici, botteghe e abitazioni.

 

 L’appuntato Malafè porta il vassoio con il pane fresco di forno e due tazzine con il caffè, quello buono, poi rivolgendosi al maresciallo.

 

-          La cosa che mi ha chiesto è in questa busta.

 -          Grazie Vincè, ora mangiamo sperando che mi passi la nausea.

 

 Gianni meravigliato chiede:

 

-          Ha la nausea?

 -          Sì, mi succede di rado, quando mangio troppo o quando qualcuno cerca di farmi fesso!

 

Poi Camoto sorridendo precisa:

 -          Ieri sera ho mangiato troppo bollito e salsine d’obbligo.

 

Il milite spalma avidamente la marmellata sul pane fragrante di forno. Terminato di mangiare Gianni si alza e si dirige verso la porta.

 

-          Allora adesso posso andare?

 -          Aspetti ancora un minuto, per cortesia si sieda.

 -          Ancora domande?

 -          Una sola, una curiosità personale, il postino o la moglie sono suoi clienti?

 -          No, non mi sembra.

 

-           Sicuro?

-          Lui sicuramente no, lei forse ha stipulato anni passati una polizza per il suo motociclo, ma non rammento bene.

 -          Faccia uno sforzo, cerchi di ricordare.

 -          Mi sembra avesse stipulato una polizza, ma sono già passati molti mesi.

-          In quell’occasione ha potuto conoscere bene Filomena Gatti.

 -          Solo qualche parola, il tempo per perfezionare la polizza.

-          Il tramite sicuramente era stato il marito Sante.

-          Forse, non rammento.

 -          O più probabilmente si era recato a casa della signora.

 -          Tutto questo con l’aggressione cosa?

-          Nulla! Una mia curiosità, le indagini sono fatte da mille piccoli tasselli e come ricomporre un puzzle.

 

Il maresciallo apre la busta portata dall’appuntato, estrae una fotografia e la mostra al testimone.

 Timorino la guarda con attenzione poi esclama:

 

-          Che cosa significa?

 -          La foto della maniglia di un’auto.

-          Allora?

 -          Come può vedere la vernice della maniglia sembra rovinata, scolorita o macchiata.

 -          Sì, forse,

 -          In realtà il medico condotto che è intervenuto, in soccorse del Sante, ha detto a Vincenzino che la maniglia è macchiata di sangue.

 -          Interessante ma io cosa?

 

Bussano alla porta, appare l’appuntato che ritira il vassoio con le tazzine del caffe.

 

-          Vede caro Gianni la maniglia fotografata, è quella della sua auto. Domani o meglio nel tardo pomeriggio sapremo se il sangue appartiene alla vittima.

 -          Io non sono mai sceso dalla mia auto e non ho toccato certo Sante.

 -          Questo significa che potrebbe aver toccato la maniglia, la stessa vittima oppure uno degli aggressori. Lei però non ha visto nessuno avvicinarsi alla sua auto.

 -          Nessuno, nessuno che io ricordi, anche se…

 -          Anche se?

 -          Ero sconvolto, non le nascondo che tremavo come una foglia e piangevo, tanto da non accorgermi del tempo passato.

 -          Lei è veramente un tipo strano: ottimo cittadino di sani e onesti principi che, per aiutare un povero malcapitato, non esita a mettere in fuga ben quattro teppisti, poi crolla e piange senza accorgersi del tempo che passa.

 -          Posso andare a dormire?

 -          Ancora qualche minuto, vorrei formulare un’ipotesi, la prego mi aiuti.

 -          Sentiamo.

 -          Ammettiamo che il sangue sia della vittima, abbiamo due possibilità: la prima sono presenti anche delle impronte digitali e allora tutto è più facile. Seconda ipotesi non vi sono impronte, allora resta solo la possibilità che la maniglia l’abbia toccata la vittima o uno dei suoi aggressori, perché lei mi conferma di non essere sceso dall’auto, vero che lo conferma?

 -          Sì, per l’ennesima volta non sono sceso dal mio veicolo.

 -          Allora se non ci sono impronte e domani, quando potrà parlare, Sante negherà di essere stato lui a toccare la maniglia, resta solo l’ipotesi del segno lasciato da un aggressore.

 -          Siccome ci vuole del tempo, per sapere se il sangue è della vittima o ci sono impronte o Sante potrà parlare, vorrei andare a dormire, non capisco perché io non posso andare a casa a dormire?

 -          Come la capisco ho un sonno maledetto anch’io, ma quello che mi tiene sveglio è una cosa che ho ricevuto la settimana scorsa.

 

Il maresciallo apre un cassetto e porge a Gianni un foglio sul quale sono scritte alcune parole formate da ritagli di un giornale o una rivista.

 

-          Ecco legga, è la classica lettera anonima, pur essendo questo un paese piccolo, anche a noi arrivano questi simpatici messaggi di tanto in tanto.

 

Poche parole: “LE CORNA DEL POSTINO SONO ASSICURATE!”

 

Il maresciallo sorride e sentenzia:

 -          Chiaramente può essere interpretata in molti modi, il primo al quale abbiamo pensato è che sia assolutamente certo che signora Filomena Gatti tradisse il marito. Il secondo che, la brutta persona che ha spedito questo messaggio, intendesse un tradimento assicurato. Adesso potrei addirittura formulare una terza ipotesi.

 

Gianni quasi con rabbia mormora.

 -          Date credito a questa povera missiva?

-          L’esperienza m’insegna che, a volte, questi messaggi in fondo possano avere una loro logica se non addirittura una verità.

 -          La terza ipotesi?

 

Il maresciallo risponde dando le spalle al testimone.

 -          Che il postino sia fatto becco da un assicuratore.

 -          Senta Camoto, sono stanco e molto, molto pentito di essermi comportato da onesto cittadino. Come immaginavo da testimone divento sospettato se non addirittura il colpevole.

 -          Non dica così!

 

 Entra senza bussare il brigadiere.

 -          Finalmente Carmelo dove cavolo sei stato tutto questo tempo?

 -          In banca, non è stato facile buttare giù dal letto il direttore alle quattro del mattino.

 

Il sottoufficiale porge al suo superiore una busta.

-          Grazie.

 

Il brigadiere Consolino esce dalla stanza.

 

-          Allora io posso andare?

 -          Mi ascolti Gianni lei sicuramente è una persona onesta e per bene.  Ora le offro, prima che io verbalizzi le sue parole di cambiare nuovamente, in toto o in parte, la sua deposizione. Fingerò di aver capito male io.

 -          Cambiare ancora la verità?

 -          Ne sono sicuro, ma a volte la memoria e la paura fanno brutti scherzi. Per esempio se vuole ripensare al numero degli aggressori, magari non erano così tanti.

 -          Assurdo!

 

Camoto apre la busta ricevuta dal brigadiere ed estrae un oggetto porgendolo a Timorino.

 -          A proposito conosce questo ciondolo? Si tratta di una catenina forse d’oro con appesa una piccola lettera F.

 Gianni guarda l’oggetto poi il maresciallo negli occhi, la sua espressione cambia improvvisamente.

 -          Perché dovrei conoscere questo coso.

 -          Carmelo ha trovato questo piccolo gioiello vicino alla vittima.

 -          Allora sarà del postino.

 -          Più facilmente della moglie, la lettera corrisponde all’iniziale del nome Filomena.

 

 Il testimone incrocia le braccia e fissa lo sguardo al pavimento.

 -          Per quanto riguarda una nuova modifica alla mia dichiarazione…

 -          Ascolto, è libero di parlare.

 -          Forse non erano tre o quattro gli aggressori.

 -          Due?

 -          No. Era uno solo, ma nella confusione del momento…

 -          Ecco perché è riuscito a metterlo in fuga, era uno solo, non una banda. Comunque è stato ugualmente coraggioso.

 -          Non sono stato sincero, forse la paura e il sonno.

 -          Comprensibile, ma deve dirmi perché non è sceso dall’auto.

 -          Paura! Tutto quel sangue.

 -          Oppure non è sceso perché ha visto chiaramente in volto la vittima anche se solo attraverso il finestrino della sua auto.

-          Sì.

 -          Non ha visto solo la vittima.

 -          No.

 -          Ha visto anche l’aggressore.

 

 Timorino chiude gli occhi e scuote la testa in senso di assenso.

 Entra nella stanza nuovamente il brigadiere che consegna un foglio al comandante e poi si siede in un angolo ad ascoltare. Camoto legge le poche parole poi esclama:

 

-          Ora mi torna tutto il racconto.

 -          Come ha fatto a capire che non ero stato sincero.

 -          Da questo foglietto, che mi ha consegnato il bravo brigadiere, sembra che dalla telecamera di sorveglianza della banca, che si trova all’inizio del vicolo dove ha visto l’aggressione, la sua auto è transitata alle ora una e venti, mentre la sua telefonata con la richiesta di soccorsi è giunta solo alle due della notte.

 -          Ero confuso e spaventato.

 -          Confuso perché conosceva l’aggressore?

 -          Sì.

 -          Il nome?

 -          Ma…

 -          Mi dica il nome!

 -          La moglie del postino: Filomena Gatti.

 

Timorino nasconde il viso tra le mani. Passano alcuni minuti di silenzio poi il testimone prosegue:

 -          Non ho aggredito il postino e nemmeno ero d’accordo con la moglie per aggredirlo, è stato un maledetto caso, passavo per caso.

-          Mi racconti, questa volta per intero, cosa è successo stanotte dalle una e venti alle due.

 -          Tornavo a casa mia, ero stato a cena da amici, ho visto in fondo al vicolo una figura, ho capito subito che si trattava di un’aggressione, perché brandiva qualcosa con le mani e colpiva una persona a terra.  Allora per coraggio, o incoscienza, ho davvero accelerato e suonato il clacson all’impazzata.

 -          Dopo.

 -          Dopo l’aggressore non è scappato ma è rimasto immobile, teneva in mano un tubo o qualcosa di simile.

 -          Lei cosa ha fatto.

 -          Ho prima pensato di innestare a retromarcia e fuggire poi ho visto in faccia Filomena.

-          Allora?

-          Lei mi ha riconosciuto era meravigliata e spaventata ed è venuta verso me.

 -          Voleva aggredire anche lei?

 -          No, forse cercava aiuto, forse era pentita.

 -          Lei cosa ha fatto?

 -          Mi sono chiuso dentro l’auto facendo scattare il blocco delle portiere. Filomena ha tentato di aprire l’auto, piangeva e mi supplicava di aiutarla.

 -          Non ha aperto per paura di essere aggredito?

 -         Non ho aperto per … per vigliaccheria, avevo terminato il mio coraggio.

 -          La donna chiedeva il suo aiuto e lei è rimasto insensibile?

-          Avevo paura.

-          La donna chiedeva aiuto a un uomo con il quale aveva una relazione e forse proprio a causa di questa ha cercato di uccidere il marito.

 -          Sono un vigliacco! Ho lasciato che lei stesse fuori in piedi a piangere e supplicarmi di aiutarla.

 -          Dopo cosa è successo?

 -          Filomena è andata via, io sono rimasto come paralizzato senza sapere cosa fare.

 -          Poi ha deciso di aiutare la sua amante confondendo l’accaduto.

 -          No! Non sono così altruista, semplicemente non volevo dire di averla vista, sarei scappato ma Sante si muoveva, era ancora vivo e allora ho chiamato i soccorsi.

 -          Ha visto male, Sante non si muoveva perché era già morto.

 -          Morto?

 -          Sì.

 -          Povera Filo adesso sarà accusata di omicidio, dovevo tacere.

 -          Perché ha impiegato tanto tempo per chiamarci.

 -          Non sapevo cosa fare. Temevo di essere coinvolto, data la mia relazione con la donna. Non volevo difendere Filomena, non doveva aggredire il marito, io non sapevo nulla e sarei stato assolutamente contrario. Comunque sono certo che anche senza le mie bugie avreste scoperto ugualmente che era lei la colpevole.

 -          Senza queste sue parole non avevamo nulla in mano. Il ciondolo poteva essere uscito dalla tasca di Sante.

 -          Stupido, dovevo tacere e non coinvolgere la povera Filo.

 

IL maresciallo legge il foglio ricevuto dal brigadiere Consolino.

 -          Non si disperi troppo, alla luce delle ultime informazioni, avute dal medico, esiste una diversa ricostruzione dei fatti.

 -          Cioè?

 -          Sante è stato ucciso in un luogo diverso e poi portato nel vicolo.

 

L’appuntato Malafè entra, anche lui senza bussare e consegna un foglio al comandante e poi si va a sedere vicino al brigadiere.

 -          No! Non può essere stato ucciso altrove, ho visto l’aggressione con i miei occhi, dopo Sante si muoveva ancora!

 -          Come diceva di non conoscere Filomena Gatti. Come aveva visto i quattro o forse tre teppisti.   Come ha visto la moglie della vittima colpirlo con un tubo alla testa.

 

Interviene il brigadiere:

-          Maresciallo, ho trovato questo nascosto nel bagagliaio dell’auto di Gianni Timorino.

 

Carmelo consegna al suo superiore, fasciato in uno straccio, un tubo di metallo.

Camoto mostra l’oggetto a Gianni.

-          Non ho mai visto quel coso!

-          Ha messo lei il tubo nel bagagliaio dopo averlo usato per colpire la vittima?

-          No! Non ho colpito nessuno… forse Filomena è stata lei!

-          Oppure l’assassino, durante una lite causata probabilmente dalla gelosia del Sante che sapeva di essere tradito, lo colpisce in testa con il primo oggetto che trova.

-          Fantasie. Mi vuole solo confondere per farmi confessare una colpa che non ho commesso.

-          Quello che è certo che l’assassino trasporta il povero Sante nel vicolo e simula l’aggressione da parte di una banda di teppisti.

-          Da testimone a colpevole è assurdo. Aiuto! Voglio andare a casa mia.

Il maresciallo incalza:

-          L’omicida si tiene una via di fuga, lascia vicino al morto una catenina della moglie così se la storia dei teppisti non regge, può cambiare la sua versione addossando la colpa Filomena.

-          No! Lei viaggia di fantasia. Lo sapevo, l’ho avevo detto subito che in questa nazione di merda se un cittadino è onesto, diventa lui il colpevole di tutto!

-          Gianni non dica così! La macchia di sangue sulla maniglia della sua auto contiene l’impronta di due dita, l’appuntato Malafè le ha confrontato con quelle lasciate da lei sulla tazzina del caffè e sono identiche.

Gianni Timorino si aggiusta i capelli con le mani, stringe il nodo della cravatta e con gli occhi bassi quasi sussurra:

-          Maresciallo, vorrei modificare ancora una volta la mia dichiarazione.

 

 

 

 

Il campo da bocce.

Il campo da bocce. - P a o l o    B a r s a n t i

A voi attenti lettori del racconto “Autopsia a Ponterotto”, non sarà sfuggito che la piccola chiusa di Pianogelato aveva restituito un corpo di meno. Qui di seguito cosa accadde dieci anni dopo.

 

 

 

Il campo da bocce.

 

 

Il geometra Mariolino Sacco, titolare dell’impresa incaricata di costruire il nuovo campo da bocce, era arrivato in caserma sudato e spaventato.

-          Maresciallo! Un morto … uno scheletro… si insomma un morto, l’ha trovato il Bianco.

-          Il Bianco chi è? Il cadavere di chi?

-          Il Bianco … ma sì Guidone Spatola un operaio della mia impresa, lo conosce è venuto anche qui in caserma quando si doveva riparare il muro del cancello.

-          Perché Bianco?

-          Un soprannome, perché beve solo vino bianco e comincia presto la mattina.

-          Non divaghiamo! Il cadavere dov’è?

-          Dietro la Chiesa, lungo l’argine del fiume, dove stiamo costruendo il nuovo campo da bocce.

 

Alla parola “campo da bocce” il maresciallo si lasciò andare al ricordo del torneo di bocce dell’ anno passato quando lui, in coppia con il brigadiere Severino Ridente, aveva vinto la coppa spettante ai primi classificati. Era stata una gara lunga e difficile ma finalmente erano riusciti a sbaragliare anche l’ultima coppia, la più agguerrita e conquistare l’ambito trofeo. Coppa che ora primeggiava proprio sopra il mobile basso nell’ufficio del comandante della caserma. Un trofeo veramente imponente che luccicava come fosse oro e dove alla base si vedeva chiaramente la scritta: Primo premio – Offerto dalla Trattoria La Trota Blu.

Il maresciallo comandante di stazione, Giandomenico Olivoli, fu richiamato alla realtà dalla voce del brigadiere.

-          Scavava con il piccone o è stata la benna dell’escavatore a trovare lo scheletro?

-          Pala e piccone perché stiamo ancora sondando il terreno per valutarne la consistenza.

-          Peccato, allora i lavori sono appena iniziati?

-          Sì Maresciallo, ma faremo presto, il parroco vuole tutto pronto per il giorno di Santa Lucia.

Rincuorato, il comandante sospirò:

-          Finalmente il nuovo campo, era oramai una necessità sentita da tutta la popolazione.

-          Maresciallo e per il morto?

Rispose il geometra che sembrava essersi tranquillizzato.

 

Partirono tutti, il comandante, il brigadiere e l’appuntato Primo Tardone, del resto non capitava tutti i giorni di trovare uno scheletro a Pianogelato.

 

Durante il breve tragitto, che separava il campo dalla caserma, videro una piccola folla di gente che urlava e rideva. Un grosso carro carico di sacchi, pieni di semi di carruba destinati al mulino, si era rovesciato invadendola strada e la piccola piazza dove si trovava l’unico Bar del paese. Il conducente del carro accusava un uomo in sella a una moto di aver provocato l’incidente. I due si spingevano e il maresciallo, avendo fretta di vedere lo scheletro, decise di lasciare sul posto il brigadiere Severino Ridente per ristabilire l’ordine e calmare gli animi.

Giunti al campo, dietro la Chiesa, il comandante,  ordinò al Bianco di scavare per mettere completamente in luce lo scheletro sepolto per metà, al quale erano ancora attaccati brandelli di quello, che un tempo, poteva essere stato un abito da donna.

Il maresciallo sembrava più interessato ai paletti, che erano stati messi a delimitare la zona dove costruire il campo da bocce, che allo scavo.

-          Scusi geometra, ma non le sembra troppo vicino all’argine il campo?

-          No maresciallo, abbiamo fatto le nostre valutazioni e siamo certi che vi sia una distanza di sicurezza più che ragionevole.

-          Sì, capisco ma magari una piena improvvisa, mi dicono che anni passati è capitato.

-          Vero, a Ponterotto aveva fatto morti e tra questi anche un mio cugino, ma sono passati molti anni, adesso è stata rinforzata anche la piccola chiusa che si trova trecento metri a  monte. Siamo sicuri che …

Le parole del geometra furono interrotte da un urlo dell’appuntato Tardone.

-          Fermo Bianco! Fermi tutti! Una bomba!

Mariolino Sacco, in preda al panico, si buttò a terra incurante del fango, i militi indietreggiarono prudentemente. Solo il maresciallo, forte della sua funzione, si avvicinò e vide che, proprio sotto le ossa delle gambe, spuntava  una vecchia Ananas, così era chiamata la bomba a mano molto usata dagli alleati durante la seconda guerra. Bianco, che era rimasto al bordo dello scavo, incurante di tutto, prese con la punta della pala l’ordigno e lo pose a terra ai piedi di Giandomenico Olivoli.

-          Non vedete che è tutta arrugginita! Questa non fa più Bum!

-          Incosciente! Cretino e incosciente!

 Lo apostrofò l’appuntato.

-          Effettivamente non si può mai sapere con queste bombe. 

Precisò il Maresciallo.

-          La porteremo via con tutte le cautele e la faremo brillare in zona sicura. Appuntato vada a chiamare il medico, sarebbe meglio una sua occhiata alle ossa prima di portarle in caserma.

-          In caserma?

Chiese il sottoposto.

-          In caserma… in caserma  perché ha paura Tardone?

-          No. Non ho paura delle ossa di un morto, magari ammazzato e chissà da quanto … proprio in caserma, magari porta anche male.

Il geometra, tutto imbrattato di fango, ripreso dallo spavento si fece coraggio e precisò.

-          Lo immaginavo! Un morto dell’ultima guerra, una povera vittima dei fascisti.

-          Effettivamente è passata qualche pattuglia di tedeschi inseguita dagli alleati e partigiani, proprio sul finire della guerra.

-          Bianco che cosa ne vuoi sapere tu?

-          Io, qui a Pianogelato, ci sono nato e come me, i miei genitori e i miei nonni prima di loro.  Ho ascoltato mille volte i racconti di guerra.

Il maresciallo sentendosi escluso precisò.

-          Questo lo scopriremo.

 

In fondo al campo sbucarono  il dottor Bruno Nespolo accompagnato dall’appuntato e da don Sereno Sbadato, parroco del posto. Il medico esaminò con cura i poveri resti mentre il prete benediva la salma masticando incomprensibili preghiere.

Il maresciallo prese da parte il dottore e chiese.

-          Allora?

-          Uno scheletro di uomo, direi sui trent’anni o giù di li.

-          Un uomo? Intende uomo maschio?

-          Uomo, era uomo  si vede chiaramente dal bacino e dal cranio.

-          I brandelli di stoffa sembrano essere di un vestito da donna.

-          Sembrano.

-          Da quanto si trova qui?

-          Difficile dirlo, bisogna fare analisi specifiche… a prima vista azzarderei.

-          Azzardi dottore, azzardi .

-          Qualche anno, forse dieci, forse più.

-          Escludiamo una vittima della guerra?

Il dottore sbiancò alzando le mani al cielo, mentre un urlo soffocato restò nella sua gola. Il maresciallo comprese che il medico doveva aver visto qualcosa di terribile e si voltò di scatto, appena in tempo per vedere che Bianco, aveva trovato un’altra bomba e presa con la pala la stava lanciandola vicino all’altra.

Uno scoppio tremendo! Anzi due in rapidissima successione. Una nuvola di fumo e fango avvolse  tutti i presenti mentre lo spostamento d’aria, oltre a buttare a terra il medico, il maresciallo e il prete, fece volare le ossa dello scheletro che si sparsero nel raggio di molti metri.

Passato il fumo, poco per volta, i presenti si alzarono mentre si sentiva un lamento quasi un pianto soffocato.

-          Ci siamo  tutti? Chi è morto o ferito lo dica subito!

Gridò l’appuntato Tardone che, forse credendo di essere l’unico milite sopravvissuto, prese in mano la situazione.   Il medico si spolverò l’abito approfittando per tastarsi e sentire se aveva qualcosa di rotto, il maresciallo, furioso, cercò di riprendersi per arrestare quel deficiente del Bianco che aveva cercato di ammazzarli tutti.

-          Io sono vivo!

Gridò il Bianco.

-          Io sono vivo o almeno credo.

Rispose il geometra completamente ricoperto di fango.

-          Chi è che si lamenta?

Chiese il medico.

-          Sarà quel cretino di Bianco e non sa ancora cosa lo aspetta.

Rispose il maresciallo spolverandosi la divisa con le mani.

-          Maresciallo meno male è salvo!

Urlò Tardone che, correndo verso di lui, inciampò nel prete che era a terra immobile.

Tutti si precipitarono verso don Sereno che sembrava non dare segni di vita, ma il medico dopo averlo esaminato sentenziò che era solo svenuto. Dopo pochi minuti il sacerdote riprese conoscenza.

-          Sto bene, sto  bene grazie al Signore che mi ha protetto. Che cosa è successo?

-          Quel deficiente di Spatola Guidone credeva di poter giocare a tirare le bombe.

Rispose l’appuntato.

L’operaio che sembrava più meravigliato che mortificato, giocherellava a dare calci a una pietra.

-          Ricordo che il dottore parlava di un maschio contrariamente ai brandelli di vestito.

-          Vero padre, proprio così e la cosa è strana, dovremo indagare in merito ma dopo tutto questo tempo non sarà facile.

-          Io, dieci anni passati, ero già parroco di questo paese e ricordo molto bene la piena del fiume potrebbe esserci un collegamento?

Il medico prese da parte il maresciallo.

-          Don Sereno Sbadato è famoso per la poca memoria e la distrazione assoluta, credo che l’esplosione gli abbia provocato un forte shock, non darei molto valore alle sue parole.

-          Credo anch’io e sono sempre più convinto che, analizzando le ossa, lo scheletro sia rimasto lì sotto dal tempo di guerra.  Appuntato si faccia aiutare e cerchiamo di recuperare tutte le ossa.

-          Comandi! Anche quelle rotte?

Il comandante guardò male il sottoposto e chiese al dottore.

-          Può dare un occhio anche a Tardone mi sembra più scemo del solito.

Bruno Nespolo rispose sottovoce.

-          A me sembra sempre uguale.

 

In caserma regnava una strana confusione, considerando che il crimine peggiore avvenuto negli ultimi mesi era stata una lite tra un contadino e la moglie, finita con una notte in cella per l’uomo e qualche cerotto alla donna che, ovviamente, non volle sporgere denuncia.

-          Brigadiere ha calmato gli animi?

-          Signorsì. Stanno recuperando il carico in modo che il carro possa raggiungere il mulino.

Arrivò in caserma anche l’appuntato.

-          Dove sono le ossa?

Chiese il maresciallo.

-          Le abbiamo messe in un sacco e le stanno portando qui il geometra e il Bianco.

-          Appuntato perché ha lasciato un reperto così importante in mano a dei civili?

-          Non credevo di far male, non mi sembra vi fosse possibilità di fuga da parte del morto.

Il maresciallo lanciò un’occhiata al medico come per dire“ lo avevo detto io che Tardone era ancora sotto shock”. Poi a denti stretti disse.

-          Quel deficiente del Bianco … appena arriva l’arresto.

Il prete prese le difese dell’operaio.

-          Signor maresciallo non vorrà mica arrestare quel poveretto. Un innocente, ecco cosa è, non molto sveglio di cervello ma un gran lavoratore.

-          Dovrei e non escludo di farlo, ha attentato alle nostre vite con la sua leggerezza.

-          Signor maresciallo senza Guidone Spatola i lavori per il campo subirebbero un grave ritardo. Non possiamo rimandare tutto deve essere pronto per la festa di Santa Lucia. Pensavo di inaugurare il campo con il primo Trofeo di Bocce di Santa Lucia.

-          E’ Vero!

Confermò il medico.

-          Abbiamo già gli sponsor.

Il maresciallo titubava guardando fuori della finestra, in attesa dell’arrivo delle ossa.

-          Lo perdoni, noi lo abbiamo già fatto e poi nessuno si è fatto più di qualche graffio e una grande paura. Vero dottore?

-          Confermo nessuna vittima, almeno per adesso, inoltre credo che Bianco non abbia tutte le capacità indispensabili per valutare una reale situazione di pericolo.

Il comandante, pensando che avrebbe partecipato volentieri al nuovo trofeo di bocce, brontolò.

-          Un rischio per se e gli altri, lasciarlo a piede libero.

Il medico cercò di patteggiare

-          Potrebbe affidarlo al geometra, che lo controlli e cerchi di arginare l’incosciente idiozia di Bianco.

Il prete quasi urlò:

-          Lo scheletro! Lo scheletro potrebbe appartenere a una delle vittime del rastrellamento del 44!

Il medico afferrò per un braccio il sacerdote e guardando con occhi complici il maresciallo disse.

-          Venga padre che lo accompagno a casa. Meglio se riposa qualche ora, siamo tutti sbalestrati dallo scampato pericolo.

Usciti i due, il comandante chiese ai suoi due militi.

-          Nel 44 c’è stato, in paese, un rastrellamento dei nazi fascisti?

-          Mai sentito! Poi consideri che, don Sereno Sbadato, non era qui al tempo di guerra.

Rispose il brigadiere mentre Tardone sembrava non aver capito la domanda.

Improvvisamente si sentì suonare il campanello del portone e poi qualcuno che bussava come un pazzo.  Era Guidone Spatola che teneva tra le braccia Mariolino Sacco e urlava:

-          Aprite! Aprite il geometra è morto! Aprite presto!

Il geometra era privo di sensi e un piccolo rivolo di sangue colava dal suo orecchio sinistro.

-          Brigadiere corra a chiamare il medico e tu seguimi lo sdraiamo sulla branda della cella di sicurezza.

-          No! Maresciallo non lo arresti! Sta tanto male e poi è bravo il geometra è tanto buono.

Piagnucolava il Bianco che, dall’alito, sembrava aver fatto fede in abbondanza al suo soprannome.

-          Se il maresciallo lo vuole arrestare ci sarà un buon motivo!

Replicò l’appuntato.

Il maresciallo guardò il sottoposto scuotendo il capo in segno di disperazione.

-          Non diciamo sciocchezze! Stendetelo con cautela e non muovetelo troppo.

 

Dopo pochi minuti arrivò Bruno Nespolo che, visitato il geometra, diagnosticò la perforazione del timpano, dovuta all’esplosione, con conseguente perdita dei sensi di Mariolino Sacco.

Il Bianco raccontò che il suo titolare era caduto a terra, come uno straccio, dopo che si erano fermati al Bar per bere un bicchiere di vino.

-          La tua situazione Spatola Guidone, a fronte di un ferito causato dall’esplosione, si fa seria e mi vedo obbligato ad arrestarti.

Il silenzio cadde sui presenti, mentre il Bianco pensava che avrebbe fatto bene a bere qualche bicchiere in più, poiché sarebbe stato carcerato molto a lungo.

L’appuntato Tardone parlò all’orecchio del suo superiore.

-          Maresciallo come facciamo, questa è l’unica cella ed è occupata dal ferito.

-          Il geometra non lo ricoveriamo qui!  Appuntato ammanetta lo Spatola, è un ordine!

Il dottor Nespolo disse, mentre il geometra riprendeva i sensi.

-          Non è cosa grave! Almeno per adesso eviterei di muoverlo.

-          Sentito signor maresciallo, adesso come facciamo ad arrestare Spatola Guidone se la cella rimane occupata?

Il comandante alzò le mani al cielo cercando nel Signore la pazienza che sembrava averlo abbandonato.

-          Bianco voi avevate il sacco con le ossa, dove lo avete messo?

-          Lo portavo a spalla e nella confusione lo perso, forse è rimasto al bar.

-          Sono circondato da cretini.

Mormorò il maresciallo sempre più arrabbiato.

Si creò una grande confusione, mentre il comandante era furibondo, il medico cercava di calmare gli animi e l’appuntato non riusciva a trovare le manette che fortunatamente nessuno adoperava da molto tempo.

-          Appuntato cosa sta facendo? Corra subito al Bar e recuperi il sacco con le ossa!

-          Maresciallo non trovo i ferri!

-          Vado io al Bar gridò Bianco.

Uscendo di corsa dalla caserma.

-          Devo inseguire il fuggitivo?

-          Tardone hai trovato le manette?

-          Non ancora.

-          Allora cercale!

-          Comandi!

Dopo pochi minuti Guidone Spatola, detto Bianco, tornò in caserma con il sacco sulle spalle.

-          Brigadiere ammanetta lo Spatola. Lei appuntato prenda il sacco, lo metta nell’armadio del mio ufficio, lo chiuda e mi porti la chiave.

-          Signorsì.

 

Solo dopo alcuni giorni il dottor Bruno Nespolo, ritornando alla caserma, chiese al maresciallo le ossa per far eseguire un’indagine specifica per stabilire da quanto tempo si trovavano sotto terra. Aperto il sacco che conteneva semi di carruba, il medico scoppiò a ridere mentre il comandante, rosso per la rabbia, pensava dove trasferire, dopo averlo fatto degradare, l’appuntato Primo Tardone. Mentre non aveva dubbi sulla nuova imputazione a carico di quel deficiente di Bianco.

 

Il nuovo campo da bocce era una bellezza, durante la festa di Santa Lucia, ancora una volta, la coppia Giandomenico Olivoli e Severino Ridente si aggiudicò il primo premio. In prima fila ad applaudire i vincitori, l’appuntato Primo Tardone e Guidone Spatola speravano che il nuovo trofeo inducesse il maresciallo al perdono nei loro confronti.

La sera iniziò a piovere come da anni non pioveva, una lunga e intensa perturbazione interessò per molti giorni la zona.

Il sesto giorno di pioggia la piccola chiusa di Pianogelato e gli argini del fiume cedettero alla forza delle acque che portarono via il nuovo campo da bocce.

La partita a Burraco.

La partita a Burraco. - P a o l o    B a r s a n t i

 

Una premessa ! Un amico che ha letto questo racconto ha così commentato :

Sabato pomeriggio vado sempre a trovare mia madre alla casa di riposo e spesso gioco a burraco con i vecchietti.

Dopo aver letto il tuo racconto ci metterò più dolcezza. 

 

 

 

La partita a Burraco

 

Olga era rimasta vedova da tre anni e dopo il solito periodo di grande dolore, vuoto e disperazione, decise, come fan tutte, di riprendersi la sua vita. In realtà dopo qualche esitazione aveva deciso di riavere la vita che avrebbe voluto da ragazza e che, il matrimonio prima, i figli poi e i nipoti adesso, sembravano aver cancellato. Passò per il percorso tradizionale, per prima cosa chiamare le amiche, che da qualche anno non sentiva più, iscriversi a un corso di danza, curiosare in parrocchia le varie attività benefiche e infine, su consiglio di una conoscente, iscriversi al circolo delle bocce vicino a casa.

Il circolo delle bocce, frequentato da pensionati e anziani over settanta, in realtà era diventato, specialmente nei mesi freddi, una vera e propria sala da gioco delle carte. Il Burraco era quello più di moda ed essendo un gioco semplice, da giocare in coppia, aveva appassionato tutti. Erano rimasti solo due o tre tavolini degli irriducibili, solo uomini, che giocavano a scopa o briscola.

Così Olga trascorreva quasi tutti i pomeriggi a giocare a Burraco, si era fatta nuove conoscenze, non poteva certo definirle amicizie, solo conoscenze. Dei suoi compagni di gioco studiava, con attenzione e seguendone il carattere, le abitudini e le piccole manie. Ognuno aveva ricevuto il suo bel soprannome che però, Olga teneva nascosto nella sua mente perché con le persone più permalose, poteva essere offensivo.

Mario Antrocoli era stato il primo maschietto che le aveva parlato quando si era presentata al circolo, aveva fatto da Cicerone presentandola a tutti, poi però aveva tentato palesemente delle avance e lei, che non era pronta a sentire di nuovo, nel suo appartamento, l’odore di un maschio, lo aveva allontanato, ma con garbo per non offenderlo. Nonostante questo Mario, molto permaloso, si era risentito anche perché, nell’ambiente, i suoi modi gentili e il suo fascino di uomo ancora piacente erano riconosciuti da molte signore. Diceva di essere un gran ballerino e per la sua età essere ancora agile e flessibile come un elastico.

Era così che lo aveva soprannominato Perma-flex.

Poi c’era Giada, che aveva l’abitudine, con le nuove arrivate, di farsele amiche ma solo per tastare quanto potessero essere pericolose per il suo ruolo di prima donna. Si sentiva ancora bellissima, affascinante e simpatica, sempre curata nell’aspetto e nel vestire, svolazzava come una farfalla tra i tavolini fino a trovare un posto dove primeggiare ed essere adulata. Sembrava una vera signora ma era falsa e bugiarda.

Una vera delusione per Olga che credeva di aver trovato un’amica, quindi decise di chiamarla buGiada.

Il quarto elemento, di quello che sarebbe diventato il tavolo da Burraco più famoso del circolo, era Nicola Pernotto, detto Nico, pensionato di quasi ottant’anni, mal portati fisicamente e mentalmente. Definito da tutti un vecchio orso solitario, non era però rincretinito, soltanto affetto da menefreghismo acuto per tutto e tutti. A lui non importava nulla di nessuno, amava solo giocare a carte questo era il suo unico interesse a parte qualche raro bicchiere di vino.

Il grosso problema, non ancora noto a tutti, era che a Nico non interessava neppure vincere ma solo partecipare, un vero sportivo del tavolo da gioco. Lui si prese il soprannome, meritato, di ciNico.

 

I “padroni “ del circolo erano la famosa triade composta da: Ciriello Antonio, gestore del bar, Ludovica Anselmi, segretaria tuttofare, segretamente innamorata di Ciriello e Malinconico Alfredo addetto alle pulizie. La triade organizzava piccole feste ed eventi, come il torneo di Burraco di Natale.

 L’iscrizione era minima e nazional popolare, appena cinque euro a coppia, naturalmente i premi erano in proporzione modesti: la prima coppia classificata riceveva un Panettone e una bottiglia di un anonimo spumante, i secondi vincevano un buono per una consumazione al bar (poteva essere un caffè o un bicchiere piccolo di vino).

Alla gara, i due anni precedenti, avevano partecipato solo otto coppie nemmeno un terzo dei frequentatori abituali dei tavoli. Tutto si era svolto per eliminazione diretta nel corso di un pomeriggio, valevano le regole del Burraco classico riviste dall’Anselmi e accettate da tutti.

Quest’anno ai primi di Dicembre gli iscritti erano solo un paio di coppie.  Ciriello contava molto nel torneo per avere una maggior vendita al bar e decise di imporsi per organizzare qualcosa di diverso.

Questo sarebbe stato un torneo articolato e importante. Prima regola ogni coppia avrebbe sfidato un’altra tre volte prima di poter passare il turno e la coppia perdente poteva rientrare in gioco sfidando altri perdenti per guadagnarsi il famoso Rientro. In pratica una delle coppie escluse poteva, battendo tutte le altre, tornare a gareggiare con i vincitori.  La tenzone si sarebbe svolta in quattro giorni, dalle quindici alle diciannove, ogni partita poteva durare al massimo quaranta minuti. Altra novità: le coppie si sarebbero formate per estrazione a sorte tra tutti i partecipanti. Il costo della partecipazione era di ben cinque euro a persona. La triade si spaccò su questa nuova proposta, Malinconico era assolutamente contrario a una gara troppo lunga e impegnativa per i vecchietti del circolo e poi lui avrebbe dovuto pulire molto più del solito, specialmente il bagno, frequentatissimo da soci quasi tutti prostatici. Ciriello rispose che gli stessi anziani, ogni pomeriggio, passavano ore seduti a giocare quindi la stanchezza fisica, mentale poco cambiava e avrebbero prodotto la stessa polvere e la stessa pipì di sempre. Per Ludovica la quota, sembrava troppo onerosa. Ciriello, che aveva in magazzino una scorta di bottiglie di spuma invendute da anni, per convincere la donna le lanciò un bel sorriso e propose d’inserire, in detta quota, anche una consumazione gratis giornaliera per tutti i partecipanti.

La consumazione sarebbe stata un bicchiere piccolo di spuma all’arancia o al ginger, tagliata con acqua a sua discrezione.

Ciriello espose il cartello nel quale s’indicavano i premi per le prime tre coppie classificate.

I primi ricevevano due scatole di baci Perugina, due panettoni di gran marca e una bottiglia di Prosecco doc. I secondi vincevano un Pandoro a testa, mentre per i terzi una bottiglia di spuma all’arancia o al ginger a piacimento. La notizia fece scalpore non si erano mai visti premi di tale importanza, considerando che l’iscrizione annuale al circolo era di dieci euro che diventavano cinque se avevi la tessera di un qualsiasi supermercato della zona, se eri stato donatore di sangue, se avevi lavorato nelle ferrovie, un amico in polizia, un parente cassaintegrato o altre strane e fantasiose facilitazioni.

La gara si sarebbe svolta dal diciannove al ventidue Dicembre e la premiazione era prevista per le ore 15 del giorno ventitré.

L’iniziativa ebbe un grande successo di pubblico, in pratica tutti i frequentatori del circolo decisero di partecipare e si registrò il tentativo d’iscrizione da parte di alcuni estranei.

Le persone che pagarono la quota furono sessanta.

 

La settimana prima della gara fu di gran fermento, vi era una strana agitazione, tutti volevano giocare possibilmente con compagni nuovi e diversi, nei tavoli si ripetevano le regole con le famose varianti del circolo. Alcune donne, che non si rivolgevano nemmeno un saluto da mesi, presero a parlare amorevolmente tra di loro, anche molti uomini ricevettero il saluto e l’attenzione delle dame più scontrose e scorbutiche. Insomma tutti si preparavano alla tenzone, consci che avrebbero potuto avere un compagno inatteso e sgradito.

Il giorno diciannove dicembre, pomeriggio piovoso e freddo che solitamente scoraggiava molti anziani a uscire da casa, vide il circolo strapieno come raramente accadeva. Ciriello era seduto sul bancone e dal secchiello del ghiaccio, riempito di foglietti recanti ognuno il nome di un partecipante, iniziò a ed estrarre a sorte i nomi, mentre Ludovica segnava, su un grande cartoncino, la formazione delle coppie.

I primi commenti non si fecero attendere, il viso di molti sbiancava e scuotevano il capo in senso di disperazione, solo alcuni, pochi veramente, sembravano soddisfatti degli abbinamenti.

Olga fu abbinata a ciNico e i loro primi diretti sfidanti dovevano essere la coppia formata da buGiada e Perma-flex.

Conoscendo la voglia di giocare di Nico e ignorando la sua indifferenza per la vittoria, Olga contenta, prese sotto braccio il suo nuovo socio che sembrò gradire quel gesto affettuoso.

Perma-flex era visibilmente deluso, sapeva che Giada era una giocatrice mediocre, spesso distratta e superficiale. In compenso la donna avrebbe aspirato volentieri a una compagna femmina da poter soggiogare e quindi mettere in mostra la sua superiorità.

 

Alle ore quindici del 20 Dicembre i tavoli erano già stati disposti e per l’occasione, aumentati di numero tanto che alcuni si lamentarono del poco spazio tra una sedia e un’altra. Arbitri indiscussi erano Ludovica e Malinconico che dovevano aggirarsi per la sala controllando che ognuno rispettasse le regole previste, pronti a intervenire a ogni richiesta o segnalazione di scorrettezze. Un gruppetto numeroso di partecipanti iniziò subito una protesta dura e compatta, non accettavano gli abbinamenti delle coppie sfidanti decisi unilateralmente da Ludovica. Chiesero e ottennero una nuova estrazione per comporre il quadro della sfida.

Al tavolo di Olga e Nico sedettero Bruna Nocerei e sua sorella Wanda, le due che non si sopportavano da mai e litigavano continuamente, erano zitelle e vivevano nella stessa casa, un battibecco polemico continuo interrotto solo quando arrivavano al circolo. Alla bocciofila, come per miracolo, le due si separavano, Bruna era innamorata del Becconi Andrea e quindi cercava di giocare al tavolo dove sedeva l’uomo, Wanda poteva dar sfogo alla sua grande passione: il pettegolezzo. Aveva, in quell’ambiente, trovato un paio di donne affette dalla stessa passione e davano sfogo al loro passatempo scegliendo sempre un tavolo isolato, ambito da pochi perché in un angolo buio e freddo della sala. Il loro problema era il quarto per giocare, nessuno amava quelle tre streghe, ma qualcuno lo trovavano sempre. Un uomo, che pur di giocare sapeva isolarsi da quel fiume di parole ricche di sottintesi e aggettivi poco qualificanti per tutti, o una donna che, sacrificandosi, sperava che, almeno per quel pomeriggio, sarebbe stata esente dalle calunnie delle tre pettegole.  Quel pomeriggio però si presentava tragico per le sorelle, non solo dovevano giocare insieme ma i loro sfidanti erano due dei bersagli preferiti di Wanda e assolutamente refrattari a far comunella con le Nocerei.

La prima partita terminò rapidamente con la vittoria netta delle sorelle, anche perché pur avendo buone carte Olga non trovava sostegno dal suo compagno che sembrava calare le carte a casaccio.

Finita la partita, avevano cinque minuti di pausa per consumare la famosa spuma annacquata, la donna pensò come scuotere ciNico dal suo torpore. Intanto, nella sala, ogni tanto qualcuno urlava “Arbitro!” invocando l’intervento di Ludovica o Malinconico a fronte di qualche scorrettezza di gioco. 

Olga, sorseggiando la Spuma, pensava a cosa dire al compagno quando per un attimo, un solo attimo, notò gli occhi dell’uomo posarsi sulla sua scollatura peraltro casta e pudica come quella di una vergine.

Capì al volo e facendo finta di niente, sganciò un paio di bottoni della camicetta, si avvicinò a Nico cercando di mettere in mostra la sua scollatura che, da giovane, rappresentava uno dei suoi punti di forza.

L’uomo, molto anziano, ma evidentemente ancora vivace, non potette fare a meno di dare un’occhiatina alle colline.

Allora, pensò Olga, il menefreghista per eccellenza un interesse lo coltivava ancora, magari solo per ricordo ma lo coltivava. Lei con la voce più suadente possibile, accostandosi a quello che sapeva essere l’orecchio buono, gli sussurrò ma non tanto piano:

-          La sai che sei un gran bell’uomo.

L’uomo la guardò con occhi molto diversi dal solito, abbozzando un mezzo sorriso, appena visibile tra i peli bianchi dei baffi, le rughe del volto e i denti gialli da una nicotina aspirata con impegno fino a qualche anno prima.  Lei incalzò:

-          Sono contenta di avere quest’occasione per stare un poco insieme con te.

Lui si schiarì la voce bevve la spuma tutta di un fiato e rispose.

-          Quale…quale occasione?

-          Il torneo naturalmente!

Rispose lei ammiccante.

La seconda partita durò pochissimo e vinsero Olga e ciNico quasi per cappotto.

La nuova pausa non prevedeva il ristoro della Spuma e molti se ne lamentarono.

Ciriello, da abile uomo d’affari, espose un cartello sul bancone: “Chi consuma un caffè riceve una spuma gratis”.

Ovviamente il caffè, dal giorno prima, era aumentato di prezzo da cinquanta centesimi a sessanta.

Le bottiglie vuote di Spuma al Ginger, la più gradita, si accumulavano sotto il bancone mentre qualcuno continuava a urlare: ”Arbitro!” a tutela di chissà quale broglio.

Terza partita: le due sorelle colpite nell’orgoglio sembrarono accantonare le loro rivalità e divergenze per unirsi in una perfetta intesa di gioco. Olga con il supporto inaspettato e fondamentale di Nico chiuse la terza mano con un Burraco pulito che li portò alla vittoria. Due partite a una! Potevano passare alla prossima sfida.

Mellifluo e viscido più del solito Perma-flex, che aveva anche lui passato il turno, si avvicinò a Olga facendogli i complimenti e dicendo che, loro due, sarebbero stati una coppia perfetta e vincente.

Dopo, forse per paura dei pettegolezzi di Wanda, tranquillizzò le due sorelle dicendosi certo che avrebbero usufruito del rientro e che le avrebbe attese in finale. Non una parola o un cenno a Nico che sembrava sorridere sotto i baffi e quando Perma-flex si allontanò, lo salutò caramente con il segno dell’ombrello.

 

Il giorno ventuno dicembre, alle quindici in punto, il circolo faceva fatica a contenere tutti i soci e qualche parente o amico che era venuto a curiosare l’andamento della famosa gara.

Olga e Nico sfidavano Luigi Gnecche, detto il “Boccino” e Mariolino Bianchi detto “Deltarinolo”.

Una partita che sembrava facile per i due uomini, virtuosi delle bocce e ancor più del Burraco, non temevano per nulla la donna e consideravano Nico un vecchio demente. La loro baldanzosa sicurezza, come a volte accadeva nel campo da bocce, li tradì. Luigi, appunto detto il Boccino perché era piccolino, magro e voleva sempre bocciare, nella foga del gioco commise un piccolo errore, una leggerezza che però l’anziano avversario sfruttò abilmente a suo favore. Mariolino s’inquietò molto con il suo socio, tirò fuori dalla tasca il flaconcino del Deltarinolo, si sparò un paio di spruzzi nel nasone rugoso e disse che non erano ammissibili errori del genere. A Olga scappò una risatina.  Gnecche che non era nemmeno lui tanto giovane, forse un mese meno di Nico, umiliato dal compagno e deriso dall’avversaria andò in confusione, magari aiutato dall’Alzheimer che lo rincorreva da qualche tempo. Altro errore di Luigino seguito da una scorrettezza, Olga e Nico si guardandosi negli occhi e decisero di non chiamare l’arbitro, come facevano tutti, per non infierire sul poveretto.

La seconda partita prese una brutta piega sembrava che Boccino fabbricasse Jolly e pinelle, chiudeva un Burraco dietro l’altro, vinsero i due uomini con un netto vantaggio.

Sconsolata Olga approfittò della pausa di rito per offrire un caffè a Nico, con allegata Spuma, girando lo zucchero nella tazzina con il cucchiaino che poi leccò, con la lingua bene a lungo mentre il socio la guardava estasiato. Aveva anche pensato di avvicinarsi molto, per fargli sentire il profumo che aveva per l’occasione spruzzato nella scollatura: “Prendimi - vera fragranza di desiderio”. Una boccetta pagata cara al mercato rionale, dove c’era il banco dei tester e profumi taroccati. Desistette dall’idea per non turbare il compagno, poteva fargli salire troppo la pressione, in fin dei conti aveva ottant’anni, anche se da ieri sembrava più vispo e reattivo.

Luigino e Mariolino, rincuorati dalla vittoria, si concessero un bicchiere di bianco a testa discutendo che anche quella era una consumazione e doveva esserci la spuma gratis.

Boccino diede le carte continuando a brontolare contro quell’avaraccio di Ciriello e forse questo incise sulla fortuna perché Nico aveva la chiusura di mano, fatto tanto raro quanto emozionante. Olga capì che doveva esserci qualcosa di strano dal viso del compagno che fulmineo calò tutte le carte e prese il mazzetto continuando il gioco. Deltarinolo rimase senza parole e con il naso chiuso, il suo socio sconsolato e confuso da tanta fortuna, sbagliò il successivo scarto, dando modo a Olga di chiudere un importante Burraco che valse la loro vittoria. Due partite a una! Potevano passare ancora una volta alla prossima sfida.

Quel giorno l’organizzazione si era rodata e c’era il tempo per ben tre sfide, per questo motivo il circolo poteva restare aperto anche dopo le ore venti limite massimo e inderogabile.

Olga e Nico, sempre più affiatati, vinsero facilmente anche la loro seconda sfida giornaliera e si preparavano all’ultimo incontro, erano le 18,30 rimanevano al massimo centoventi minuti, più dieci per le pause. Avrebbero fatto tardi ma ne valeva la pena, a casa loro nessuno li aspettava, entrambi erano sorridenti ed eccitati. Nico anche troppo perché, se

nza volere, le sue vecchie narici avevano percepito “Prendimi- - vera fragranza di desiderio”.  Olga lo vide inspirare profondamente e poi con gli occhi che gli brillavano, rilassarsi sulla sedia.

Iniziarono la partita, due avversari difficili, Giovanna Incerta e Carolina Rosso, due donne assatanate per il ballo, passavano tutta la settimana al circolo per trovare un cavaliere che le portasse in balera il sabato sera. Non era facile perché Giovanna era alta meno del bancone e pesava centodieci chili, Carolina aveva un viso carino ma due cipolle agli alluci che la facevano camminare come una gallina ubriaca. Nonostante questo, erano entrambe sveglie e molto simpatiche, pronte alla battuta e mai cattive o volgari e per questo, Il sabato sera, trovavano sempre un paio di accompagnatori pronti a farle danzare. L’estrazione a sorte le aveva messe compagne di gioco, formando così una delle coppie favorite per la finale.

La prima mano la vinsero le donne con pochi punti di scarto. Durante la pausa Olga, vedendo Nico, triste e scoraggiato, decise di giocarsi il tutto per tutto.

Sempre stando attenta di parlare all’orecchio buono disse:

-          Se andiamo in finale, la sera della vigilia di Natale io sono sola soletta e potremmo cenare insieme, se ti fidi della mia cucina.

Nico divenne rosso in viso, si alzò faticosamente in piedi e scosse il capo.

-          No! Purtroppo non posso.

Olga, sorpresa e stupita, rispose:

-          Capisco …hai una festa con i parenti.

-          No, quelli li ho abbandonati da molto tempo. Vado in parrocchia a servire cena ai meno fortunati.

Olga si sentì un brivido lungo la schiena e non era il freddo. Aveva proprio giudicato male ciNIco e ora lo guardava con occhi diversi. Lui, timidamente, forse aiutato da quel profumo che gli ricordava cose piacevoli e lontane, continuò.

-          Se sei sola perché non vieni anche tu, al parroco farebbe molto piacere.

Olga lo guardò dritto negli occhi.

-          A te farebbe piacere? 

Nico non rispose ma sorrise, le rughe per un attimo sparirono, i baffi sembrarono meno bianchi e le mani smisero il leggerissimo tremito che, per altro, si notava solo quando teneva le carte in mano.

Vinsero la seconda e la terza mano nello stupore delle due avversarie e di alcuni presenti che, finite le loro partite, avevano circondato il tavolo dei ritardatari per guardare quella sfida.  Le ballerine erano riuscite a calare solo una scala e due tris tutti a picche, mentre i loro avversari non sapevano più dove sistemare sul tavolo le loro calate e i Burrachi.

 

Grande finale, pomeriggio del 23 Dicembre.

 

Pioggia forte, vento teso e allerta giallo della protezione civile.

Una situazione metereologica del genere solitamente vedeva il circolo semideserto con Ciriello disperato per i mancati introiti. Malinconico Alfredo con lo spazzolone in mano pronto a controllare che i pochi avventori non sporcassero troppo. Oggi, invece, alle 14,30 il posto brulicava di gente, ombrelli abbandonati ovunque, il piccolo locale, prima delle toilette, invaso da galosce e scarpe bagnate che le signore si erano prontamente cambiate indossando ciabattine da casa calde e asciutte. I pochi attaccapanni erano colmi di giacconi e impermeabili zuppi. Ciriello, al banco, era entusiasta, nella foga abbracciò                        e baciò sulle guance Ludovica Anselmi che in quel momento comprese che Babbo Natale esisteva.

Malinconico Alfredo, sconsolato, buttò a terra lo spazzolone con il quale invano cercava di asciugare il fiume di pioggia portata dentro dalle scarpe di tutti. Andò dietro il bancone e nella confusione generale, non visto, si versò un generoso bicchiere di spuma al Ginger.

Tre partite che valevano la semifinale che Olga e Nico superarono senza troppa fatica e poi finalmente il gran finale. I loro avversari, perché San Giovanni non vuole inganni, come il destino aveva previsto all’inizio, erano Perma-flex e buGiada.  Tronfi e applauditi dal pubblico, ammiccavano sicuri vincitori, lui per l’occasione, indossava una giacca tipo caccia alla volpe, le scarpe bicolori e un foulard azzurro al collo.

Lei era svolazzante in un vestitino estivo, fatto fare il secolo scorso per il matrimonio di un parente. Al collo Giada aveva un lungo filo di perle e alle dita delle mani alcuni anelli, sicuramente di figura ma palesemente fondi di bottiglia. Un paio di sandali bianchi, con mezzo tacco a spillo, completavano la mise per il grande evento.

Olga aveva scelto una gonna calda, con sopra una blusa scollata e uno scialle buttato sulle spalle. Niente di speciale o appariscente ma molto apprezzato da Nico che la guardava con occhi languidi.

Gli arbitri, vista l’importanza della cosa, decisero che tutto si sarebbe svolto in un’unica partita e che la disposizione, delle persone al tavolo, sarebbe avvenuta per estrazione. Olga si trovò sotto lo scarto di Perma-flex mentre Nico era sotto quello di buGiada.

Come in un vero casinò, Malinconico Alfredo dava le carte, fungendo da croupier, mentre Ludovica preparava i due mazzetti.

Ciriello, dopo aver contato le bottiglie di spuma ancora avanzate, quasi tutte all’arancia, attirò l’attenzione di tutti urlando che, in onore della finale, chi consumava una spuma all’arancia ne riceveva una seconda sempre all’arancia ma gratis. Ovviamente il prezzo della spuma era lievitato da trenta a quaranta centesimi.

Perma-flex era concentratissimo sulle carte, solo raramente guardava gli avversari, Giada moriva dal freddo ma fingeva indifferenza, girandosi spesso verso il pubblico elargendo saluti e sorrisi.

Nico e Olga cercavano di restare calmi e si guardavano negli occhi, nessuno dei due aveva buone carte ma speravano nel supporto del compagno.  Il primo tris lo calò Giada, tre regine, poi scartò il quattro di fiori. Olga aveva una scala buca a fiori e il quattro, qualora fosse arrivato a lei, era perfetto.

Il quattro lo prese Perma-flex calando lui la scala a fiori e poi scartò il re di picche.

Giada raccolse lo scarto di Olga, un sei di cuori e il re di Picche che calò insieme con altri due re.

La partita iniziata male, si complicava, ma Olga e Nico sembravano sereni e tranquilli.

Con una pescata fortunata, una pinella, Giada chiuse e andò a prendere il mazzetto.

Finalmente, con lo scarto di Giada, calò anche Nico tre semplici tre.

Permaflex forte della sua fortuna derise gli avversari:

-          Tre per tre, uguale a nove!

Così dicendo calò quattro nove.

La partita si poteva dire persa, Olga pescò dal mazzo una carta, era un tre e con gli altri tre che aveva in mano, fece un burraco pulito di tre che valeva ben duecento punti.

Allora Nico, come uscito dal sonno, rispose:

-          Tre per sette, uguale a duecento!

Poi calò tutte le carte, che teneva in mano e andò a prendere il loro mazzetto, mentre il pubblico mormorava iniziando a tifare per Nico e Olga.

Terminata, la seconda mano avevano circa gli stessi punti e tutto si sarebbe deciso in pochi minuti.

 

Olga indossava il grembiule, aveva i capelli legati con un elastico e un ciuffetto biondo sbarazzino che cadeva dalla fronte. Nico sembrava rinato, portava i piatti di plastica, colmi di penne al pomodoro, con l’abilità di un cameriere del Grand’Hotel. Il menù era ricco: penne al sugo di pomodoro, arrosto con patate, frutta fresca e secca, panettoni e baci Perugina. Olga non era magra, anzi qualche chilo di troppo se lo portava dietro da anni, adorava mangiare e soprattutto mangiare bene. Continuava ad assaggiare il sugo dell’arrosto, che era il piatto forte della serata, meravigliandosi che, se possibile, era migliore di quello che faceva lei. Nico si girò un attimo verso la cucina, vide Olga bellissima che asciugava le mani nel grembiule sorridendogli e comprese, che lui, aveva vinto la partita più importante di tutta la sua vita.

 

 

Progresso Conservativo.

Progresso Conservativo. - P a o l o    B a r s a n t i

Progresso Conservativo.

 

 

 

Descrivere Dietroalmare è molto facile: un comune con annesse tre frazioni, abitanti 2478 denominati Dietroalmaresi, altezza sul livello del mare mt 388, superfice 12 Km quadrati.

Un posto come tanti là dove le colline non sono ancora montagne.

In paese si è svolta una serrata e agguerrita campagna elettorale per il rinnovo del sindaco e del consiglio comunale.

La lista civica “Progresso Conservativo” ha preso la maggioranza dei voti.

Dopo una lunga trattativa degli eletti, si è formata la giunta comunale e le deleghe ai vari consiglieri sono state attribuite assolutamente in merito alle loro competenze e abilità.

Il programma elettorale della lista civica presentava pochi ma importanti, se non fondamentali, punti: collegamento Internet veloce, un nuovo campo da calcio regolamentare, la ristrutturazione del centro per anziani, l’asfaltatura della piazza grande e vie limitrofe.

Per questo motivo, nel palazzo del comune, si sono riuniti i consiglieri di maggioranza per decidere come e quando realizzare le promesse.

Il vento caldo e umido, che da giorni flagella il paese, stasera sembra essersi intensificato, accompagnato da forti scrosci di pioggia, il maltempo non ha scoraggiato i partecipanti che sono tutti presenti nella sala del consiglio.

Prende, per primo, la parola, il sindaco Massimo Mendace (titolare del negozio di abbigliamento “ Moda Mendace” sito nel corso principale) con delega allo sport:

-          Assessori, concittadini, ma soprattutto cari, carissimi amici, le mie responsabilità verso la nostra comunità m’inducono a iniziare e portare velocemente a termine le promesse che avete … che abbiamo fatto agli elettori.

Segue un brusio di consenso e qualche scuotimento di capo in senso negativo.

-          Le finanze del nostro comune sono esigue e quindi dobbiamo dare delle priorità. Dobbiamo essere rapidi nelle decisioni, efficaci nell’attuarle e cristallini nella gestione dei soldi pubblici.

 

 L’agente della polizia locale, Giandomenico Limitato, detentore della delega alla nettezza urbana, ambiente e Istruzione, timidamente si rivolge al sindaco:

-          Capo, stamani sono andato alla chiusa in cima al paese, ha detto il capo che dovete fare qualcosa, è pericolosa.

-          Quante volte ti ho detto di non chiamarmi capo, chiamami sindaco o meglio signor sindaco. Poi chi è il capo che dice che la chiusa è pericolosa?

-          Dante Guidotti quello dei pompieri.

-          Vedremo! Domani farò un sopraluogo, adesso l’argomento non è all’ordine del giorno.

-          Capo… signor sindaco, il capo Guidotti dice che se piove ancora...

-          Ho detto ora no!  Andiamo con ordine, la parola al responsabile dei lavori pubblici.

 

Interviene Italo Molo (titolare del “Bar del Molo” in piazza grande) con delega ai lavori Pubblici e altre che nemmeno lui rammenta.

-          Indispensabile l’asfaltatura della piazza, oramai ridotta a un unico cratere. I pochi turisti, peraltro in leggero aumento rispetto allo scorso anno, arrivano in piazza e quello deve essere il nostro biglietto da visita. Una piazza bella e curata, le strade ben asfaltate sono la migliore accoglienza possibile.

 

Risponde il medico Giovanni  Diovede (Viabilità e Commercio):

-          Non sono d’accordo, indispensabile è pensare prima ai nostri concittadini e specialmente ai giovani, quindi il nuovo campo da calcio regolamentare deve avere la priorità su tutto.

Felice Romeo (proprietario dell’Hotel Posta) Cultura, Associazioni e Manifestazioni, aggiustandosi la pettinatura con le mani, apostrofa il medico:

-          Non condivido, pur ammettendo che il vecchio campo è obsoleto, ritengo assolutamente prioritario il collegamento Internet veloce. Comunicare significa progresso, significa turisti, significa benessere. La nostra lista “Progresso Conservativo” deve distinguersi per la coerenza di quanto promesso.

-          Internet veloce è un compito delle varie società telefoniche non certo il nostro.

Precisa il dottor Diovede, masticando rumorosamente una caramella.

 

Con il tono della voce basso ma fermo, quasi imperioso, forte del suo sangue nobile e dell’età vetusta, interviene il barone Santini Tardivi del Lago assessore esterno al Bilancio, Tributi, Servizi Sociali e Personale.

-          Devo ammettere che tutte le opere promesse sono importanti se non addirittura indispensabili, tuttavia… i soldi a disposizione sono pochi, molto pochi e quindi… l’opera meno onerosa è certamente la ristrutturazione del centro per gli anziani.

-          Sono contrario!

Quasi urla Felice Romeo, visibilmente contrariato.

-          Il centro per gli anziani esiste già!

Precisa il sindaco:

-          E’ in pessimo stato, i muri sono scrostati, pieni di umidità, il riscaldamento è insufficiente, gli infissi chiudono male e il pavimento è sconnesso.

Felice interviene di nuovo mentre si ammira nel piccolo specchio, che tiene sempre in tasca, consapevole di essere un bell’uomo:

-          Per quattro vecchietti, che lo frequentano, è anche troppo e poi non è certo un’opera atta allo sviluppo e il benessere della nostra comunità!

Il barone di rimando:

-          Non sono quattro ma molti di più e se l’ambiente fosse più confortevole e procurasse loro meno malanni, sicuramente gli utilizzatori del centro aumenterebbero di gran numero. Vi ricordo che questo è un paese di vecchi.

Sarcastico sentenzia Romeo:

-          Per forza, i giovani scappano e per trattenerli il primo passo è Internet.

-          Ho già detto che questo è compito delle società telefoniche.

Puntiglioso precisa il medico mentre succhia rumorosamente l’ennesima caramella. 

-          No! No caro dottore! Siamo troppo pochi perché qualcuno porti qui la fibra o altra diavoleria, dobbiamo essere noi come comunità a investire per avere il servizio. 

Italo, del bar Molo, mentre offre a tutti le lattine di birra che ha portato, cerca di placare gli animi.

-          Ammetto che, forse, più importante dell’asfaltatura della piazza è avere Internet veloce.

-          Certo! Per un’attività commerciale come la tua è molto vantaggiosa la fibra!

Insinua malizioso il medico.

L’albergatore stappa una lattina di birra e la offre alla professoressa Violante che rifiuta con un gesto della mano. Poi ci ripensa e guardando con occhi languidi Romeo, appoggia alle labbra la lattina con un gesto lascivo.

Giandomenico Limitato timidamente scarta un panino al salame e inizia a morderlo.

Il barista:

-          Nessuno pensa, che tenere in ordine il fondo stradale, significa meno incidenti e trasferimenti più rapidi e sicuri.

Visibilmente alterato Felice Romeo:

-          Trasferiamo chi? Da qui se ne vanno tutti se rimaniamo isolati telematicamente, di turisti poi non ne parliamo. Pensate se uno dice: ”Vado in vacanza a Dietroalmare”. La gente pensa che sia una spiaggia libera, forse nemmeno attrezzata. Se vogliamo migliorare, dobbiamo far conoscere questo posto per quel poco che può valere, il mezzo migliore e più veloce resta Internet.

Il sindaco sbuffa e batte il pugno sul tavolo ma piano, quasi timoroso.

-          Noto un atteggiamento disfattista nelle tue parole Felice. Noi dobbiamo essere propositivi e con i piedi per terra. I soldi sono pochi come giustamente ricorda il barone.

-          Allora, se sono pochi, spendiamoli bene!

Sentenzia il barista.

Fuori il vento infuria e, la pioggia battente frusta le vetrate, il rumore distrae per un attimo i partecipanti.

Il barone Santini Tardivi del Lago consultando la sua agenda piena di fogli e foglietti:

-          Il centro per gli anziani è al servizio dei nostri vecchi che, vi ricordo, sono quasi la maggioranza degli abitanti con avente diritto al voto.

Violante Greco, insegnante in pensione con delega alla Caccia e Pesca, che era rimasta in silenzio ma ben attenta a quanto si diceva, risponde:

-          Ha ragione il caro Italo a sostenere che l’asfaltatura della piazza e magari della via principale, è importante per dare maggior sicurezza ai concittadini e una migliore immagine della città. Così come ha ragione il dottore a volere un nuovo campo da calcio, ma vi ricordo che, come afferma anche Felice, questo è un paese di vecchi. Ne conosco pochi che giocano a pallone. Vi ricordo che gli elettori over sessanta sono di gran numero i maggiori e quindi concordo con chi ritiene la spesa, per la ristrutturazione del centro per anziani, sia la cosa meno onerosa e forse politicamente più importante. Tuttavia senza una comunicazione veloce non possiamo far conoscere e valorizzare il nostro paese, non possiamo creare nuovi posti di lavoro per trattenere i giovani e non possiamo progredire. Qualcuno ha portato dei preventivi di spesa per quelle che sono le opere in oggetto?

 

Tutti si guardano come se la cosa non dipendesse da loro poi, timidamente il sindaco, mentre accetta una caramella dal medico, risponde:

-          Mi sembrava prematuro, questa è ancora una riunione amichevole, propositiva e non decisionale.

 

Il vento e la pioggia adesso sembrano trasformarsi in un vero e proprio uragano, le imposte del palazzo iniziano a sbattere e si sente anche qualche tegola del tetto che tenta di sollevarsi, mentre un muro di acqua impedisce la visuale della piazza.

Il sindaco cerca di telefonare a Dante Guidotti, comandante dei vigili del fuoco e capo della protezione civile. La linea però è assente probabilmente a causa del maltempo.

-          Maledetti telefonini, aveva ragione Giovanni che dovrebbero essere le compagnie telefoniche a dare un servizio decente.

Italo Molo guardando fuori dalla finestra:

-           Spero che mia moglie abbia chiuso le imposte del bar.

Il medico interviene:

-          Il mio ambulatorio è a livello strada, temo si allaghi la sala d’aspetto.

Il sindaco con un sorriso amaro sulle labbra:

-          Speriamo non faccia danni gravi, altrimenti tutta la colpa ricadrà sulla nostra giunta.

Precisa la professoressa Greco.

-          Ci siamo appena insediati.

Di rimando il Mendace:

-          Sapete benissimo che la colpa è sempre di quelli che nel momento governano.

Felice Romeo:

-          Hai ragione sindaco, ma aspettiamo prima di preoccuparci, qui noi siamo al sicuro.

L’agente di polizia locale, Giandomenico Limitato, parlando con la bocca piena di pane e salame:

-          Magari ci hanno eletto perché noi ci preoccupassimo prima di quello che può avvenire.

Tutti guardano Giandomenico Limitato come avesse parlato un fantasma.

-          Allora sai parlare e raramente anche riflettere.

Lo sfotte Italo Molo.

-          Ha ragione il Limitato, è facile promettere quando si finge di ignorare che le casse del comune sono vuote da anni.

Risponde il barone Santini Tardivi del Lago.

Il medico, che cerca di telefonare inutilmente alla moglie, incalza:

-          Siamo isolati per un po’ di pioggia, pensare che, se funzionassero bene i telefoni, basterebbe un sms per avvisare tutti del pericolo, come succede nelle grandi città che diramano l’allerta meteo.  Tutta colpa delle compagnie telefoniche!

Il sindaco, mentre si sposta nella sala con lo smartphone in cerca di campo:

-          Anche se avessimo potuto diramare l’allerta meteo cosa cambiava?

Ironico Felice risponde:

-          Tutti sarebbero rimasti al riparo a casa propria.

Mendace scartando rumorosamente la caramella:

-          Vedi nessuno nella piazza? Sono tutti a casa, unici cretini siamo noi!

Il barone sarcastico.

-          Siamo vittime del nostro senso civico! Anche se incapaci di decidere cosa fare.

Il sindaco:

-          Sono decisioni che vanno condivise, ponderate e attentamente valutate.

-          Sentite il sindaco! Il vero politico tra tutti noi. Pronto sempre ad avere una scusa per la nostra incapacità.

-          Felice non essere disfattista.

-          Altrimenti cosa? Cosa mi fai? Mi ritiri la licenza dell’Hotel?  Come hai già minacciato di fare se non mi candidavo nella tua lista civica?

Italo Molo sibila:

-          Bastardo! Ha minacciato anche te, proprio come ha fatto con me.

Risponde Mendace:

-          Siete ingiusti! Ingrati! Io vi ho solo dato una possibilità, un’occasione importante per essere utili alla comunità.

Il barista:

-          Ha ricattato anche te barone?

-          Quasi.

Adesso il sindaco infuriato, con la bava alla bocca forse a causa della caramella:

-          Cosa? Tu, Santini Tardivi del Lago, barone della mia minchia, che ti sei giocato a carte anche il letto di tua madre, eri disperato e mi hai chiesto in ginocchio un lavoro!

-          Diciamo che ti faceva comodo, avere nel consiglio, uno che s’intende di cifre e di bilanci da ammorbidire.

-          Barone tu t’intendi di bilanci come quello scemo di Giandomenico conosce il codice della strada.

-          Allora perché lo hai nominato agente di polizia?

-          Meglio uno scemo ignorante che un saccente rompicoglioni, se facesse con serietà e intelligenza il suo mestiere sarebbero guai per tutti.

Interviene il Molo:

-          Sindaco onesto e politicamente corretto!

-          Tu mi dai addosso? Tu che il tuo bar è più lercio di una fogna, pieno di videogiochi illegali, se Giandomenico non fosse scemo, dovrebbe averti già fatto chiudere.

 

Giandomenico Limitato armeggia con il suo smartphone e sembra ignorare che si parli di lui.

Romeo mentre finisce di bere una birra:

-          Sembri un angelo mandato sulla terra! Guarda sindaco che non sei innocente, ma puzzi peggio di noi.

-          Il famoso albergatore ha parlato! Tu di puzzo te ne intendi, le camere del tuo albergo sono sporche e ammuffite. Vogliamo vedere quante ricevute fiscali hai fatto negli ultimi due anni? Se io puzzo tu fai schifo!

Il barone sempre più sarcastico:

-          Meno male che è solo una riunione tra amici e propositiva.

Il sindaco cercando di ricomporsi:

-          No! No caro il mio nobiluomo è solo una franca e aperta discussione in merito alle nostre divergenti vedute in materia.

L’albergatore, mentre si aggiusta il ciuffo sulla fronte, apostrofa l’agente di polizia:

-          Giandomenico hai sentito cosa dicono di te? Smettila di giocare con il telefonino, scommetto che non lo sai nemmeno usare.

Giandomenico sottovoce:

-          Sapessi almeno come si accende.

Il sindaco:

-          Ti ho fornito la tecnologia, con quel coso puoi controllare targhe, nomi, assicurazioni e dare contravvenzioni. Cerca di imparare a usarlo.

Sentenzia Violante Greco:

-          Perle ai porci! Comunque dobbiamo decidere quale promessa mantenere per prima.

-          Il barone si alza, chiude l’agenda piena di fogli che sembra consultare prima di ogni intervento.

-          Basta! Me ne vado, con voi non si può ragionare.

-          Vedi di non fare il cretino e siediti, ricorda che controlleremo i tuoi conti bene, molto bene.

-          Non ho paura di te caro sindaco.

-          Devi temere tutti noi!

-          Begli amici e che politici! E’ vero io sono stato un giocatore, peraltro sfortunato. Parlate voi? Un barista che è la prima volta in vent’anni non è ubriaco dopo le tre del pomeriggio, un albergatore che tradisce la moglie con tutte le donne con meno di novant’anni, una vecchia inacidita professoressa amante del guardia caccia e non parliamo del medico.

-          Che cosa hai da dire su di me? Sono un medico e ti ricordo che ti ho curato spesso gratis.

-          Vero! Mi hai curato spesso gratis, ma non sempre come avresti dovuto fare, perché medico dell’ASL. Non disprezzi certo tutte le mance in nero che ti danno i nostri amati concittadini per le tue diagnosi assurde.

-          Vorrai dire qualche piccolo riconoscimento e segno di gratitudine.

-          Se fosse così, ti dovrebbero sparare a vista! Sei solo un dispensatore di farmaci a caso, con attenta sensibilità verso le case farmaceutiche che sono più generose con te.

-          Vecchio rincoglionito, barone del mio …

-          Amici! Amici, ricordiamoci che siamo il consiglio comunale anche se riuniti in via ufficiosa e amichevole.

-          Sante parole sindaco! Ricorda a questi stronzi che non è vero che sono ubriaco prima delle tre del pomeriggio.

La Violante rossa in viso per la verità svelata del suo amore per il guardia caccia, che ha vent’anni meno di lei, moglie e tre figli, interviene:

-          Aggiorniamo la seduta, prepariamo dei preventivi e riuniamoci ancora.

-          Buona idea! Solo in forma amichevole, almeno fino a quando avremo deciso cosa fare.

Il medico che mangia rumorosamente l’ennesima caramella:

-          Dobbiamo fare in fretta! Non vorrei che i consiglieri di minoranza ci accusassero d’indolenza, poi è inutile rimandare è il campo di calcio la prima scelta.

-          Quasi mi dimenticavo che tuo figlio gioca a pallone e aspira a diventare professionista.

Il medico alzando il dito medio verso l’albergatore:

-          Pensa a te e la tua fogna di alberghetto, lo sa tua moglie che la camera migliore la usi con le tue amichette?

Il sindaco, che rinunciato a telefonare, guarda preoccupato fuori della finestra:

-          Smettetela! Peggio dei bambini, concordo che il campo da calcio è prioritario. Vi ricordo che il mio voto vale due.

-          Sì. Ma tu senza di noi non conti nulla! Comodo avere un nuovo campo, sai le magliette e i pantaloncini che venderai.

-          Sei una serpe Violante, una brutta serpe! Idiota io che ti ho voluta nella mia lista.

-          Idiota io che ho accettato! Una lista di onesti che si chiama “Progresso Conservativo” da non credere! Un manifesto elettorale ambiguo e contradditorio.

-          Non capisci nulla di politica, gli elettori vogliono tutto e nulla, desiderano progredire ma si spaventano delle novità.

Con la faccia che esprime solo delusione, risponde il barista:

-           Forse sono idioti gli elettori che ci hanno creduto.

Il barone che si è riseduto, stringe al petto l’agenda come fosse uno scudo, con tono fermo:

-          Onesti? Dove sono gli onesti? Un medico fannullone e incompetente che si preoccupa solo del campo di calcio per fare allenare il figlio. Un seguace di Ippocrate che ha voluto la delega al commercio per favorire la moglie che gestisce l’emporio e che teme la concorrenza di futuri supermercati.  Un barista ubriaco che desidera una piazza più bella per far sembrare migliore quella fogna del suo bar, che ha preteso la delega ai lavori pubblici perché il cugino è titolare dell’impresa edile e di asfaltatura. Un albergatore che invece di migliorare e abbellire la sua struttura spera che con un servizio Internet più veloce possa ingannare, con qualche foto fatta ad arte, turisti stranieri.                 Una vecchia zitella, ammalata di sesso, che ha voluto la delega alla caccia e pesca per favorire il suo Toy boy. Infine un ingenuo deficiente che forse sa leggere, ma certamente non scrivere, eletto agente di polizia locale, addirittura delegato all’istruzione, responsabile della nettezza urbana, solo perché, la raccolta dei rifiuti è gestita dall’azienda del cognato del sindaco.  Poi un vecchio rincoglionito come sono io, che si è giocato il patrimonio di famiglia con carte e puttane, adesso fa comodo perché per due spiccioli è disposto a firmare qualunque bilancio, inimicarsi la popolazione come responsabile dei tributi, far finta che esistano i servizi sociali e avvallare l’assunzione di comodo di qualche parente o amico.

 

Improvvisamente il vento e la pioggia si sono calmati e nella sala cade un silenzio pesante, nessuno sembra voler o saper rispondere alla feroce ma vera, analisi del barone.

Squilla inatteso il cellulare del sindaco e sembra che quel suono terrorizzi tutti.

Mendace risponde:

-          - Ciao Dante, il mal tempo ha provocato problemi? Sì? No! Cavolo. Non è possibile, assurdo … incredibile. Un disastro! Grazie, intervengo subito. Ciao.

Tutti guardano il sindaco in attesa delle notizie avute da Dante Guidotti capo della protezione civile.

Massimo Mendace si copre il volto con le mani e scuote il capo in segno di disperazione.

La professoressa Violante stringendo il braccio di Felice Romeo strilla:

-          Cosa? Che cosa è successo di tanto terribile?

Il barista:

-          La chiusa ha ceduto? Il paese è allagato?

 Giandomenico, pulendo la divisa dalle briciole e calzando il cappello di ordinanza, domanda:

-          Dove? Dove devo andare capo?

Il sindaco sussurra:

-          La chiusa ha tenuto bene, ma la mia vetrina, quella grande, distrutta! Un cartello stradale strappato dal vento ha infranto tutta la vetrata. Era nuova, appena pagata.

Ancora la professoressa con gli occhi lucidi:

-          Vittime?

Anche il medico, visibilmente preoccupato:

-          Il mio ambulatorio ha subito danni?

Qualcuno urla:

-          Non piove più, torniamo a casa.

Velocemente i partecipanti alla riunione, amichevole e propositiva, escono dalla sala stringendosi la mano, qualcuno si abbraccia e tutti baciano sulle guance la professoressa Greco.

 

Il sindaco resta seduto al suo posto, sorride amaro, guarda fuori e pensa alla vetrina che forse l’assicurazione ripagherà almeno in parte. Pensa soddisfatto che un consiglio così unito e omogeneo porterà sicuramente Progresso Conservativo per la loro piccola comunità.

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